Il recupero dei giochi antichi

Con un occhio critico su alcuni rischi moderni

di Michela Zucca

giochi-sardiGiochi sardi - www.prolococarbonia.it

Nelle società rurali come quella alpina, così come nel Sud del mondo, la perdita dei giochi tradizionali ha contribuito in misura rilevante all'impoverimento culturale e alla caduta nella marginalità. Ha creato un senso di noia, di vuoto, ha reso ogni giorno uguale agli altri: ha determinato l'affermazione che qualsiasi operatore si sente ripetere quando arriva in un paese che scende la china dell'abbandono: "Qui?! Qui non c'è niente. Non c'è mai niente da fare".

Certo, i vecchi giochi sono stati sostituiti da quelli nuovi: la televisione offre i telequiz, le partite di calcio, il lotto... ma raramente sono partecipati dal basso. Difficilmente fungono da media culturale. Questa la ragione per cui una visione nuova dell'antropologia, attenta agli effetti pratici della disciplina, deve porsi il problema del recupero degli antichi giochi.

 

Un'espressione pre-culturale

Anche gli animali giocano: il gioco costituisce un'espressione pre-culturale della psiche, una necessità per la crescita: è attraverso il gioco che i cuccioli scoprono il mondo che li circonda; giocando imparano le regole della vita adulta. Per quanto riguarda gli uomini, è per mezzo del gioco che i bambini ricevono le prime forme di educazione: le prime nozioni culturali, quelle che, secondo gli psicologi, plasmeranno la loro sensibilità, le loro possibilità percettive, la loro capacità di provare sentimenti ed emozioni: sembra che il carattere si formi durante i primi tre anni di vita. Periodo di tempo in cui i figli degli uomini, oltre a mangiare e a dormire, non hanno altro da fare che giocare. Si tratta quindi di un argomento molto importante dal punto di vista antropologico. E poi, gli esseri umani non giocano solo durante l'infanzia: fra quelle espressioni che si possono considerare patrimonio comune dell'umanità, si trovano appunto alcuni giochi, o sport: gli scacchi, che vengono dalla Persia o dalla Cina; le carte, dall'India; il surf, dalla Polinesia; il golf, dalla Scozia; il football, dall'Inghilterra; il tennis dalla Francia... e via dicendo. Per non parlare poi dei giochi olimpici, di origine greca, che sono dei veri e propri fatti sociali totali che coinvolgono il mondo a livello globale: economico, politico, sociale, culturale.

surfLa pratica del surf proviene dalla Polinesia
Lo scambio di giochi è, oggi come nell'antica Grecia, un momento privilegiato di incontro di civiltà diverse: per un periodo breve e limitato, ma reale, si interrompono guerre e rivalità, si passa sopra a differenze razziali e politiche: il confronto fra Cina e Stati Uniti cominciò sui tavoli da ping-pong; i tornei di scacchi fra giocatori sovietici e statunitensi hanno offerto a gruppi dei due blocchi occasioni di conoscersi che esulavano dall'evento scacchistico. Le partite fra detenuti e secondini mettono le due categorie su un piano di parità impensabile in un'altra occasione; e restituiscono umanità agli occhi degli uni e degli altri. Perché il gioco impone delle regole: la principale, senza la quale non può avvenire, impone l'accettazione dell'altro.
Il gioco è un rito sociale che esprime e rafforza, a livello simbolico, l'unità di un gruppo (un paese, una città, una nazione), le cui tensioni interne possono venire esteriorizzate e risolversi durante le manifestazioni ludiche, prendendo un andamento catartico. I grandi giochi pubblici hanno un'importanza socio psicologica (e, di conseguenza, antropologica) fondamentale: attorno ad essi riescono a coagularsi il senso civico, l'appartenenza nazionale; si riconosce un'identità, un retroterra condiviso; sono il legame che ricorda l'origine comune. Il gioco riunisce in sé concetti che, nella vita reale, difficilmente riescono a stare insieme: la totalità, la regola e la libertà. Ma il fatto che riescano a coesistere almeno in ambito ludico può fornire il modello utopico di una società possibile, che è giusto sforzarsi di costruire anche se rimane irraggiungibile. E' una risorsa che, se adoperata nella giusta maniera, può dare risultati più significativi di una campagna di concertazione, o delle trattative diplomatiche.

 

I vari tipi di gioco

Con il termine gioco si definisce un'ampia gamma di azioni: dal girotondo dei bambini ai tornei di calcio, dalle tombole di fine anno al casinò. Può essere totalmente disinteressato, collegato a categorie quali tempo libero, svago, divertimento, creatività, e altamente professionalizzato, commercializzato, e coinvolgere giri d'affari, sponsor, merchandising, azioni pubblicitarie degne di una multinazionale. Può essere sinonimo di socialità, ma può anche essere praticato in solitudine. Può servire a distendere lo spirito, ma può anche suscitare emozioni forti, estreme: vedi la roulette russa. Può arrivare fino ad assumere tratti criminali: vedi la "caccia all'indio", praticata dai ricchi latifondisti bianchi in Amazzonia fino a qualche anno fa (e non si è del tutto certi che sia finita...). Una cosa è certa: sembra che il gioco sia praticato principalmente dai più piccoli. Ma non è una cosa da bambini. Cercheremo quindi di classificare i vari tipi di giochi. Il ricercatore che ha lavorato di più su questo tema è Roger Caillois.

nascondinoGiocare a nascondino non costa nulla...

I giochi più diffusi del mondo si praticano in libertà, negli spazi aperti della natura, o in quelli domestici di casa: con gli altri, con gli animali, o da soli. Sembra che il rapporto con l'ambiente (toccare le foglie, accarezzare gli animali, guardare i selvatici, cogliere i frutti dagli alberi e mangiarli) sia un bisogno fisiologico e psicologico. Da una recente indagine sociologica, è emerso che il giocattolo più richiesto in assoluto dai bambini italiani sia... un cucciolo. In contesti metropolitani, sempre più i ragazzi sono rinchiusi fra quattro mura, non possono socializzare, non hanno nessuna cognizione dell'ambiente, se non quella data a scuola durante le "settimane ecologiche" o le "gote in fattoria". Si è persa la quotidianità dell'andar per boschi, giocare a nascondino, a prendersi: giardini e parchi condominiali raramente servono allo scopo, perché sempre più gli adulti (componente maggioritaria della popolazione) manifestano intolleranza verso la presenza chiassosa e gioiosa dei bambini, imponendo delle regole che reprimono la spontaneità del gioco. Le strade cittadine sono considerate pericolose da genitori ogni giorno più spaventati. Il risultato è che i bambini sono condannati a giochi sedentari e solitari; la televisione o il computer sostituiscono compagni rinchiusi in altre case, a loro volta piazzati di fronte ad un video.
Secondo Caillois, si possono distinguere i giochi in quattro grandi gruppi: quelli competitivi, in cui emerge la volontà di vincere e di mostrare un merito acquisito per capacità (agon). Quelli d'azzardo, in cui la vincita è assicurata dalla fortuna pura (alea). Quelli di imitazione e rappresentazione, in cui l'individuo si traveste, fa finta di essere un altro (mimicry). Quelli che procurano intense emozioni psicofisiche, al limite dell'estremo, della sopportazione, della vertigine (ilinx).

 

Sport, agonismo e iniziazioni mancate

L'Occidente è, forse, l'unica civiltà in cui non esiste un sistema istituzionalizzato di iniziazione: il passaggio dalla gioventù all'età adulta non è marcato da cerimonie che dimostrino che un certo individuo è degno di stare nel contesto sociale al pari di tutti gli altri. Rendendosi conto di questa situazione nella nazione che per prima affrontò lo sviluppo industriale e la nascita del welfare state, l'Inghilterra coloniale, Baden-Powell elaborò un modello educativo basato sulle regole iniziatiche delle culture della foresta del Sud dell'Africa, che ebbe immediatamente un successo mondiale: lo scoutismo. Si tratta di esperimento antropologico di grande importanza, anche perché ha costruito un'organizzazione fondata su un'acculturazione "al contrario": questa volta, sono stati i "selvaggi" che hanno fornito le basi metodologiche, e non viceversa. Lo scoutismo però non basta: perché l'educazione familiare ordinaria, sempre più ansiosa e iperprotettiva, terrorizzata da ipotetici pericoli esterni che non sono mai stati così limitati come in questo periodo storico in Europa (assenza di guerre, o di sommovimenti politici cruenti; democrazia rappresentativa; sopravvivenza e condizioni minime garantite dallo stato sociale; aspettativa di vita, propria e dei genitori, allungata fino a quasi al secolo; benessere diffuso) impedisce al ragazzo un confronto reale col mondo esterno. Ciò dovrebbe avvenire attraverso la carriera lavorativa: ma, in una società stratificata e complessa, ed estremamente competitiva, sono pochi quelli che arrivano davvero ai vertici, e possono far vedere che, effettivamente ed incontestabilmente, hanno avuto successo nella vita. Gran parte degli altri, sono condannati ad un'esistenza e ad una professionalità di routine, in cui non possono emergere, ogni giorno è uguale a tutti gli altri, non c'è più niente per cui combattere, perché la lotta non condurrà a nessun risultato. Ragion per cui bisogna trovare fonti di emozioni forti, "degne di essere vissute": rischiare la pelle per gioco, o farla rischiare agli altri. La spiegazione fornita è la necessità di doversi "misurare con se stessi": evidentemente, per provare qualcosa ad un sé che deve convincersi, e che deve convincere gli altri, di avere un valore incontestabile, anche al di fuori di ciò che normalmente è considerato un merito dalla società di riferimento.

Bungee-Jumping

Il fenomeno è in aumento, anche nei piccoli paesi alpini: la violenza commessa per gioco, verso se stessi e verso gli altri, il rischio corso semplicemente per provare la "vertigine", è diffuso e, in certe condizioni, quando cioè si traveste da pratica sportiva, perfino socialmente accettato. Non solo: fior di aziende organizzano corsi di sopravvivenza in ambienti difficili, obbligando pacifici impiegati a prestazioni da marine, per ravvivare "lo spirito di squadra". La richiesta di regolamentazione degli sport "estremi" ha raggiunto perfino il Parlamento europeo. Ma il bisogno esistenziale che ci sta dietro non verrà risolto da una legge, e non si discosta molto (antropologicamente parlando) da quello che spinge le persone verso azioni condannate dalla legge, considerate "criminali": le corse clandestine di macchine, per esempio.

 

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