Chi c'è, là fuori?

Come funziona il progetto SETI

di Franco Rama

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Radiotelescopi in ascolto 

Nel numero scorso, a proposito del linguaggio degli alieni, ho concluso dicendo che se noi siamo in grado di inviare un messaggio verso stelle lontane, anche eventuali altre civiltà potrebbero fare altrettanto ed è nostro dovere tentare di intercettarlo, riconoscerlo e, se possibile, interpretarlo. 

Questo è lo scopo primario del Progetto SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) che raccoglie segnali radio da milioni di stelle alla ricerca di vita intelligente extraterrestre abbastanza evoluta da trasmettere segnali radio nel cosmo.

SETI è un progetto ambizioso, molto ambizioso: è una ricerca della vita intelligente, non della mera vita in sé, che potrebbe anche essere rappresentata da organismi unicellulari come alghe e batteri. No, qui si va alla ricerca di esseri evoluti, anzi altamente evoluti e così progrediti da essere in grado non solo di produrre e sfruttare qualche forma di energia, ma anche di utilizzarla in attività voluttuarie come le trasmissioni radio o radio-televisive. In poche parole, si va alla ricerca di noi stessi proiettati su qualche lontanissimo pianeta in qualche remoto angolo dell'Universo.
Scommetto che a questo punto vi è venuto in mente almeno il film Contact, con Jodie Foster che riceve un complesso messaggio radio dallo spazio profondo. Beh, guarda caso, Contact (il romanzo) è stato scritto da Carl Sagan, grande astronomo e divulgatore statunitense, nonché uno dei fondatori e maggiori sostenitori del SETI, proprio per evidenziare le attività (e le speranze) del progetto SETI.
Nel film i radioastronomi ricevono una serie di impulsi radio, la cosiddetta "portante", che trasporta le informazioni contenute in un secondo segnale radio (la "modulante") che opportunamente demodulato rivela il messaggio trasmesso, sia esso una canzone, la radiocronaca di una partita di calcio o le istruzioni per costruire un mezzo di trasporto intergalattico.

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La schermata del programma SETI@Home, fonte: Seti, Berkeley

Il progetto SETI si ferma perciò alla ricerca e al riconoscimento della "portante". Il messaggio trasportato, che sarà comunque difficile o impossibile da interpretare, a questo punto è secondario. Mi spiego meglio, una volta Stelio Montebugnoli, direttore dei Radiotelescopi di Medicina (BO) e di SETI Italia, mi raccontò questo esempio: "immaginate un uomo, nato e vissuto da sempre su un'isola deserta - non chiedetevi come sia possibile, ho detto immaginate - è l'unico abitante dell'isola e per lui il Mondo è rappresentato unicamente dalla sua isola e, non essendosi mai allontanato da essa, non c'è altro oltre la sua isola. Un giorno, camminando sulla spiaggia, trova una bottiglia di Coca-Cola - inconfondibile la forma,vero? - con all'interno un pezzo di materiale strano, arrotolato e ingiallito con sopra disegnate delle strane forme.
Secondo voi, per quest'uomo è più importante la bottiglia o quegli strani disegni? Sicuramente la bottiglia, il resto per lui non ha un senso: la bottiglia gli rivela che da qualche parte, oltre la sua isola, c'è qualcuno abbastanza evoluto da aver realizzato quel manufatto (con tutto quello che occorre: energia, ricerca e fusione del vetro, stampo per la forma ecc.) e averlo poi affidato alle onde perché un giorno giungesse da lui." Ecco, la bottiglia è la "portante" che il SETI sta cercando nel Mare Oceano dell'Universo.Come funziona il SETI? Non essendo possibile visitare di persona tutti i probabili trecento miliardi di stelle della nostra Galassia, come fanno i personaggi di Star Trek, il progetto si basa su alcune ipotesi ed assunzioni che, per forza di cose, riducono di molto la possibilità di scoprire qualcosa. Per cominciare, si è ridotto il numero di stelle: circa il 10% della nostra galassia è fatta di stelle simili al Sole e ci sono circa mille di queste stelle entro una distanza di 100 anni luce da noi che costituiscono le candidate principali per la ricerca. Però non possiamo scartare a priori tutto il resto, nel caso questa semplificazione non sia corretta, perciò la ricerca dovrà occuparsi anche delle stelle escluse, pure se con priorità minore.
Secondo, occorre sintonizzare il ricevitore sulla frequenza giusta, esattamente come si fa cercando una stazione radio. Anche supponendo che il segnale venga trasmesso su una banda stretta, per ogni punto del cielo bisognerebbe captare tutte le possibili frequenze che arrivano ai nostri ricevitori.

Wow signalIl segnale Wow!, così chiamato perché lo scopritore, stupito dell'evidente origine interstellare del segnale, lo cerchiò sul tabulato del computer e scrisse a fianco il commento "Wow", fonte: Wikimedia

Si è scelto perciò di "ascoltare" solo una piccola regione della banda elettromagnetica, individuata nella lunghezza d'onda dell'idrogeno atomico, a 1,420 gigaHertz. Con queste, ed altre pesanti restrizioni, non stupisce che dagli anni '60, quando SETI ebbe inizio, a oggi non si sia ancora rivelato nulla che possa somigliare a un segnale di comunicazione extraterrestre. L'unica eccezione è rappresentata dal cosiddetto segnale Wow! raccolto per un'unica volta nel 1977 per 72 secondi e mai più ritrovato. D'altra parte, anche noi terrestri abbiamo inviato un solo messaggio per una sola volta, dal radiotelescopio di Arecibo nel 1974 (vedi numero precedente).

Oggi il SETI raccoglie milioni e milioni di segnali radio che necessitano di essere elaborati e interpretati. Per fare questo occorre una enorme potenza di calcolo e perciò è stato realizzato il programma SETI@Home, un progetto di calcolo distribuito che utilizza i personal computer connessi a internet nel mondo.Chiunque può entrare a far parte di questo esercito di ricercatori, è sufficiente iscriversi gratuitamente al programma. Si riceveranno così dei "pacchetti" di dati che verranno elaborati durante il tempo morto del proprio computer e verranno automaticamente rispediti a Berkeley per l'analisi finale.
Chissà, potreste esser voi a scovare il prossimo segnale Wow!

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