Il problema DI genere

Dove le donne se ne vanno la montagna muore

di Michela Zucca - SECONDA PARTE

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Grazie pixabay!

Le donne sono un elemento cruciale nelle comunità delle Alpi. Da loro, dipende la decisione di mantenere le famiglie sul territorio, di fare figli, e quindi la possibilità di continuare ad esistere di molti paesi alpini. 

Il disagio nascosto: il diritto al piacere negato, aspettative tradizionali e bisogni odierni

Una sostanziale dicotomia fra aspettative del contesto sociale e richieste della controparte femminile è stato riscontrato nella situazione di sofferenza di gran parte delle intervistate durante il lavoro di campo. Perché le richieste che vengono rivolte alle donne sposate o 'mature' sono ancora quelle di occuparsi della famiglia malgrado lavorino fuori casa, indipendentemente dalla professione svolta e dall’impegno che questa richiede; di destinare alla famiglia tutti i loro soldi; di 'sopportare' marito e suoceri se non compiono atti estremi di violenza o sopraffazione: in poche parole, di 'sacrificarsi' per il bene degli altri.
Vediamo un esempio fuori dai paesi in cui abbiamo lavorato ma accaduto in contesto alpino, in una città svizzera. Una quarantenne single che dirige un centro di ricerca in cui lavorano 70 ricercatori, decide di tornare a vivere nella casa di famiglia nel piccolo paese di origine, in cui è rimasto il fratello, anch’esso celibe. Ovviamente dovendo lavorare fuori casa, e viaggiare spesso, non può badare alla faccende domestiche e si prende un aiuto. Ma la visione tradizionale di una donna di mezza età con un fratello scapolo impone che la sua figura si situi a metà fra quella della moglie e quella della madre, con funzioni di serva: cioè, che lo accudisca, curi la casa e conduca una vita ritirata. Le voci cominciano a crescere: come mai si è presa una domestica: non può farlo lei? Come mai va così tanto in giro? Cosa fa mentre è assente da casa, anche per settimane intere? Non si vergogna a lasciare il fratello da solo, a farsi da mangiare, lavarsi e stirarsi i vestiti? Non si vergogna a spendere dei soldi per lavori che potrebbe benissimo fare da sola? Ma che razza di donna è una così? Naturalmente, le critiche non vengono rivolte a lei né, tantomeno, al fratello direttamente, ma 'riferite' da qualcuno a cui 'sta a cuore' la sorte degli 'amici'. In poche parole, l’uomo frequenta l’unico luogo di ritrovo del paese, il bar: ad un certo punto, la pressione sociale è tale che, vero o falso, pensa che quando entra nel locale, tutti parlano di lui e lo prendono in giro 'dietro le spalle'. La situazione diventa insostenibile, tanto che la sorella, plurilaureata, con un paio di master oltreoceano e la direzione di 70 ricercatori, deve tornare a vivere nell’appartamentino da single in città. 

Chi non accetta il ruolo tradizionale, se ne va, o soffre. La paura delle 'voci' assume aspetti persecutori: in uno dei paesi in cui abbiamo lavorato, una delle poche giovani laureate madri di famiglia ha rifiutato un posto dirigenziale nel suo stesso comune, che le avrebbe permesso di conciliare impegni lavorativi e familiari, sobbarcandosi decine di chilometri di pendolariato giornaliero, per paura delle critiche dei compaesani. Ancora più che i coetanei maschi, le ragazze cercano amicizie fuori, che possano fornire delle scuse per uscire il più presto possibile da un contesto sociale e familiare vissuto come soffocante. 
I problemi si fanno più acuti da sposate. Spesso, ancora oggi, è la sposa che va a vivere nella stessa casa dei suoceri, anche se in appartamenti diversi. In gran parte dei matrimoni esogami, è la moglie che viene da fuori e va a vivere nel paese del marito, con i genitori di lui di sopra, di sotto o di fianco. Per questa ragione, è tenuta ad occuparsi degli anziani non autosufficienti, personalmente. Perché, anche in presenza di redditi medio alti, e quindi delle disponibilità economiche per pagare un aiuto, ciò non è giustificato socialmente, e darebbe adito a 'critiche'. Mentre le spese per la macchina nuova sono legittime, quelle per la badante (o per la casa di riposo) o per la baby sitter no: sono le donne di famiglia che devono occuparsi della gestione dei vecchi e dei bambini, oltre che del marito. 
Non solo, in alcuni casi si è registrato che, dopo sposato, l’uomo è ancora libero di avere una vita personale, di svolgere attività nel tempo libero (sport, anche agonistico, soccorso alpino, volontariato...), di frequentare amici (fuori dal contesto domestico che, come abbiamo visto, rimane chiuso e privato). Quando una giovane madre di Cimego è morta in un incidente stradale è stata criticata perché stava tornando da una giornata passata sulla neve!

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«Per me l'osteria si paese sostituisce lo psichiatra»

Nel frattempo, la moglie tende ad occuparsi dei figli e degli anziani. Al contrario, la donna sposata una volta finito il lavoro deve tornare a casa. Impensabile che lasci i figli al marito per andare al bar tutte le sere prima di rientrare, che due volte la settimana passi la serata a giocare a carte con le amiche o in palestra ad allenarsi, che vada via per giorni interi per andare a caccia, che trascorra la domenica sui campi da sci o a pescare, spendendo per sé il denaro che occorre per le attrezzature e gli spostamenti (e che pure ha guadagnato col proprio lavoro), cosa che invece suo marito può fare tranquillamente una volta che le necessità della famiglia siano state soddisfatte. Le donne sposate che frequentano i bar sono considerate, nei paesi, per usare un eufemismo, come delle poco di buono. Non solo: comportamenti che sono tollerati 'qualche volta' dagli uomini non lo sono nelle donne (per esempio, ubriacarsi di tanto in tanto, 'prendersi delle distrazioni'). 

Ancora oggi, le donne non hanno diritto al piacere, non possono nemmeno rivendicare il diritto al tempo libero: farsi sorprendere 'con le mani in mano' è considerato indegno. Se le signore decidono di trovarsi assieme, devono inventarsi una scusa buona, possibilmente produttiva ma per la comunità, perché non possono perdere tempo in 'cose inutili' e non possono far vedere di essere 'avide' reclamando una propria volontà di guadagno.

 

Quando la pressione raggiunge il limite

Condizioni di pressione sociale grave, ignorate e non riconosciute dal contesto, possono arrivare a far emergere fenomeni di disagio che possono portare a situazioni limite: in questi ultimi anni, si sono ripetuti i casi di 'madri assassine' in arco alpino e in contesto rurale, dovuti a crisi depressive apparentemente inspiegabili. Ho svolto questa ricerca per il Centro di salute mentale di Cavalese, da anni attivo nello studio del disagio di genere. Ho fatto un piccolo studio antropologico del contesto socio-economico-culturale in cui sono accaduti i delitti. I risultati sono sconcertanti. 
Sono stati presi in esame i casi di Cogne (AO), Montjovet (AO), Santa Caterina Valfurva (SO), Casatenovo (LC), Merano. In tutti questi casi di infanticidio, le madri sono giovani, prive di problemi economici o familiari, in 'buoni rapporti' col coniuge, vivono in ambito alpino e rurale, in belle case di proprietà. Il marito viene sempre definito 'un gran bravo ragazzo che lavorava dalla mattina alla sera pensando solo alla famiglia'. Il livello culturale generalmente è basso. Tutte meno una, fanno la casalinga; ma anche nel caso brianzolo, l’impiego è a metà tempo, dequalificato e poco impegnativo (nessuna è una donna in carriera, anche la ragazza che fa la modella, giustifica il lavoro in TV come un passatempo). Secondo la mentalità comune, hanno il tempo e la possibilità di dedicarsi ai figli, da sole ovviamente. L’unica a cui è possibile chiedere aiuto è la madre che non costa niente e, se vedova, è tenuta culturalmente ad aiutare la figlia. Se però muore, la sua figura non viene sostituita, anche alla nascita di un altro figlio (il terzo come a Merano). 
Ogni volta, il marito è assente: a Cogne, frequentemente impegnato in politica; a Montjovet, ha lasciato la moglie sola 24 giorni dopo il parto per accompagnare i genitori a messa e poi aiutarli a falciare e lei era in giro in macchina da sola con due bambini; a Santa Caterina, ha lasciato la moglie sola con due bambini piccoli per andare a fare una gara di corsa in montagna; in Brianza, e a Merano, era a lavorare, anche se sapeva che, da mesi o anni, la consorte 'non dormiva più'. 

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In metà dei casi, si sapeva già, e da tempo, che la donna era in cura dei servizi psichiatrici: Merano, Casatenovo, Santa Caterina. Ma, a parte i farmaci, nessuna poteva godere di un aiuto in casa, né la loro condizione era stata ritenuta 'abbastanza grave' da richiedere un’assistenza. Eppure forse i mezzi, volendo, ci sarebbero stati per poter pagare un aiuto: se solo si fosse ritenuto il loro lavoro qualcosa di troppo pesante per essere svolto senza collaborazione. 
La sensazione che danno queste figure è di isolamento, solitudine estrema, chiusura fra le pareti domestiche. Quel che stupisce per esempio nei rapporti giornalistici sulla madre assassina di Merano, è che, mentre il marito era persona nota e capo del Soccorso Alpino, e lei andasse – da anni – in ferie nel paese di origine del marito, in Val di Sole, chi ha ammesso di averla conosciuta ('bene') dichiarasse che l’aveva vista 'per strada', 'nell’orto', ma mai in casa, in anni e anni di vacanze o nello stesso posto! 
È ovvio che si tratta di casi estremi. Ma l’uso di psicofarmaci fra la popolazione femminile alpina in ambito rurale è diffuso, è spia di disagio ed è un problema di cui si fa una gran fatica a parlare.

 

Autogestione matrilocale

Nei paesi alpini, le donne sono spesso elemento dinamico di rinnovamento. Anche perché sono riuscite, oltre che a pagarne il peso, a sfruttare a proprio vantaggio le regole di una società che ha mantenuto norme tradizionali di mutuo aiuto clanico. 
La prima indagine che fa emergere la capacità femminile di mutuo aiuto fra donne è stata svolta in Svizzera, paese all’avanguardia nello studio della società alpina. Riguarda un confronto fra le giovani svizzere, sposate e con figli, paragonate con le italiane di seconda generazione (cioè nate e cresciute sul suolo della Confederazione), nella stessa condizione e della stessa età, in rapporto alla possibilità di conservare o meno il posto di lavoro dopo la maternità. 
I risultati sono stati inaspettati: perché si pensava che le figlie di italiani, più facilmente portatrici di valori in cui la donna doveva rimanere a casa dopo sposata, rinunciassero in misura maggiore al posto di lavoro per dedicarsi alla famiglia. Invece, è emerso esattamente il contrario perché in contesti italiani, 'arretrati', in cui i legami parentali erano forti e la solidarietà dovuta (nel bene e nel male…), madri e anche suocere delle neomamme, riorganizzavano la propria vita, e anche quella dei mariti e degli altri figli, in modo tale da potersi occupare dei nipoti, per permettere alle figlie o alle nuore di conservarsi l’impiego. Alcune addirittura arrivavano a trasferirsi vicino alla figlia, cambiando casa e città, talvolta col marito, per poter curare il nipotino. In questo modo, le giovani donne riuscivano perfino a crescere professionalmente malgrado la gravidanza. Al contrario, fra le svizzere, un aiuto di questa entità è raro, per cui le giovani madri sono costrette in misura maggiore a dover lasciare il posto di lavoro per potersi occupare dei figli.
Meccanismi e reti di questo tipo funzionano in maniera egregia anche nei nostri paesi, e consentono di sopperire alla mancanza di servizi pubblici per l’infanzia. Perché, se da una parte vivere a stretto contatto dei genitori, suoceri e parenti significa essere controllati, dall’altra può voler dire, se i rapporti sono buoni, poter contare su di loro per la cura dei figli e l’aiuto in casa, e quindi potersi conservare il posto di lavoro. 

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Per questa ragione, si può definire la matrilocalità (ovvero la residenza della neo coppia nel paese della madre di lei) un importante fattore di sviluppo, che deve essere favorito in ogni modo. Molte coppie si trasferiscono in paese (o nel paese di origine di uno dei due) in presenza della famiglia e di una madre, o di una suocera, che funziona da sostegno e supporto nella cura de figli. Questo lavoro andrebbe contabilizzato, monetizzato e retribuito, almeno in parte, perché consente risparmi sociali ingenti e permette alla componente femminile di essere attiva. 

Nonostante tutto, il paese può venire vissuto come realtà familiare positiva, specie in presenza di alcuni servizi che le donne richiedono a gran voce e che non costerebbe neanche tanto mettere in piedi: la palestra, la biblioteca, incontri culturali. Nelle situazioni più dinamiche, in cui i ragazzi fin da adolescenti sono stati abituati a gestire spazi di organizzazione, condivisione e libertà, le donne sono state capaci di creare delle strutture di sevizio auto organizzato: è il caso dell’asilo nido gestito a turno dalle giovani madri.

FINE

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