L'inizio

I regolatori delle società segmentarie

Egualitarismo e gestione dell’autorità nei piccoli paesi alpini

di Michela Zucca

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Somaggia, frazione di Samolago (foto: immonline.it)

«Vedi, qui da noi più o meno siamo tutti uguali»: questa la percezione del sé che emerge in gran parte dei paesi delle nostre valli.

Rigorosamente falsa, anche a prima vista, ma creduta vera anche contro l’evidenza, perché corrisponde alla perpetuazione di un sistema di valori diverso da quello che in questi ultimi due secoli si è sviluppato in ambito urbano, dalla Rivoluzione francese in poi. Ovvero: malgrado i nostri paesi siano inseriti in un contesto di stato democratico, in cui virtualmente valgono le leggi della maggioranza, degli schieramenti politici, delle libertà individuali, le regole che la gente segue, rapportandosi con i componenti della propria comunità, appartengono ad un ordine diverso: sono quelle di una società segmentata, non democratica ma collettivista, tendenzialmente egualitaria, in cui diversità e volontà di emergere vengono duramente penalizzate.

La classificazione dei sistemi politici che oppone due tipi di società, quella segmentaria e quella statuale, è stata proposta da Emile Durkheim ed elaborata da E. E. Evans Pritchard e da M. Fortes. Secondo la loro analisi, la politica si definisce, in entrambi i casi, come l’agente di integrazione nel contesto sociale globale, che si realizza però in maniera differente.

Nelle società statuali, la funzione integratrice è manifesta ed evidente, perché si traduce attraverso il lavoro, osservabile immediatamente, di strutture amministrative, burocratiche, giuridiche, militari e repressive, controllate e legittimate, a loro volta, da un’autorità centrale. In compenso, nelle società segmentarie, la funzione integrativa non è direttamente osservabile, perché corrisponde a dei meccanismi regolatori interni, non percepibili se non attraverso un’analisi teorica e un’osservazione approfondita e prolungata che metta in evidenza il funzionamento stesso del sistema nella sua totalità. È suddivisa in segmenti e sottosegmenti (clan, sotto-clan, 'famiglie forti') che si coalizzano e si fondono, uniti da principi di solidarietà, o viceversa si combattono fra loro, secondo determinate regole, che possono anche assumere l’aspetto della competizione democratica, come le campagne elettorali per l’elezione del sindaco. Secondo tale struttura, la fusione dei lignaggi consente di risolvere il problema del mantenimento dell’ordine. In tal senso, è interessante notare come in molti paesi i voti coincidano con il numero dei membri delle varie famiglie. Lo studio puntuale del loro funzionamento, cioè l’identificazione delle relazioni fra le sue unità costitutive, rivela l’esistenza di un 'principio d’ordine' implicito, fondato su principi culturali, che non viene né trasgredito né contestato, a cui tutti si adeguano, che le rende organiche, coerenti e unite, e le fa continuare nel tempo.

assemblea comunale 1920

Assemblea comunale (foto: ittigen.ch)

Sistemi come questi richiedono aggregazioni apparentemente omogenee, in cui ogni membro della comunità aderisca volontariamente e pienamente ad una scala di valori condivisa, che impone l’appartenenza incondizionata al gruppo. Il risvolto negativo, il prezzo da pagare per la parità sociale (soltanto di facciata, si badi bene: non esistono società senza differenze, perfettamente egualitarie) è l’annullamento di ogni pretesa di distinzione dalla massa. L’accumulazione di ricchezze individuali o, per esempio, l’ambizione personale possono rompere l’equilibrio e costituire un vero e proprio pericolo. Perché ciò che fa emergere una persona rispetto ad un’altra è concepita come un furto o una privazione di un bene collettivo. Inoltre, l’egualitarismo è soltanto apparente: le differenze di sesso, e/o quelle di età, permettono di imporre una gerarchia di fatto, talvolta molto autoritaria, con la quale non è possibile dissentire, o mantenere un’idea propria. In più permangono, all’interno del contesto sociale, in cui la qualità della vita è buona, di sicuro superiore alla media italiana, alcune famiglie tradizionalmente considerate potenti ('forti'), a cui in maniera tacita viene delegato l’accesso alle cariche di rappresentanza e vengono concesse libertà che ad altri sono negate, e i loro componenti maschi si sentono legittimati ad usarle per poter gestire il potere.

Il conflitto aperto, o un più semplice 'confronto democratico', si rivela spesso problematico e si cerca di evitarlo in ogni modo, anche da parte delle amministrazioni. Generalmente, a livello individuale, si tenta di non schierarsi con nessuno, di non dichiarare la propria appartenenza politica. Tanto che, quando si svolge una campagna elettorale con più liste all’interno del paese, spesso questa viene percepita come devastante e talvolta chi perde si rifiuta di portare il proprio contributo alla nuova giunta.
Fin da piccoli, si viene educati a non manifestare il proprio dissenso in pubblico, a «non far vedere che si fa il proprio interesse», anche quando è perfettamente legittimo, a «non credersi di più degli altri», a non «farsi vedere». Dentro al paese non bisogna persino farsi vedere a 'spendere': fino ad un certo punto la spesa è accettata, poi si ha paura di essere 'criticati'.

L’invidia è uno dei sentimenti maggiormente citati dagli intervistati. Dal punto di vista antropologico, funziona come regolatore sociale, impedendo di mostrare troppe differenze di censo per timore di pettegolezzi e maldicenze. Ma funziona come agente livellatore anche su un piano più pratico: nel caso di proprietà molto frazionate, divise fra parenti, in cui c’è bisogno di acquisire le porzioni di immobile per poterlo restaurare e tirarci fuori un appartamento abitabile, o addirittura per case intere, in alcuni casi è stato notato che si preferisce vendere a 'chi viene da fuori' o a immobiliari piuttosto che ai congiunti, per invidia appunto, per evitare che 'si mettano a posto', per 'fargli un dispetto'. Questo comportamento è dovuto anche al fatto che, fra conoscenti o paesani, si è tenuti all’osservanza di regole non scritte che impongono, nel caso di una vendita, un prezzo 'giusto' (ovvero basso), altrimenti si viene criticati, mentre se la transazione avviene con un estraneo è lecito cercare di avvantaggiarsi il più possibile della situazione, acquisendone merito nei confronti della collettività, dimostrandosi 'furbi' di fronte all’opinione pubblica.
Non bisogna pensare, però, che l’invidia sia un sentimento caratteristico della cultura alpina, in realtà, si tratta di una reazione tipica dei piccoli gruppi tendenzialmente chiusi, anche urbani. Basti pensare che gran parte delle cause discusse dagli avvocati riguardano liti di condominio. Per non parlare del 'mobbing' negli ambienti di lavoro, che spesso ricordano le caratteristiche di piccole comunità. Per le motivazioni adottate per le molestie fra colleghi una delle più ricorrenti è l’invidia.

omologazione 1920

Malgrado le affermazioni di egualitarismo, di fatto uno dei valori universalmente riconosciuti nelle nostre comunità è quello della 'roba' che significava, principalmente, la casa e la terra, anche se nell’ultima generazione, il suolo agricolo ha perso di valore. Ancor oggi, comunque, quando si analizza a fondo quali sono le famiglie che ancora oggi gestiscono il potere, si capisce che sono quelle che possono contare su una gran quantità di metri quadri di terreno. Adesso 'la roba' significa la casa di proprietà (senza non è quasi socialmente permesso sposarsi), altre case o appartamenti per eventuali figli o da affittare o da tenere liberi, ma intanto ci sono le macchine (più di una per famiglia e, normalmente, grosse, cambiate di frequente). Tutte cose di cui però è proibito vantarsi, da far valere soltanto al momento opportuno senza tanti giri di parole e senza 'farsi vedere troppo': si potrebbe definire un modello di comportamento basato su un understatement ('mezza affermazione') che però è solo esteriore.

L’apparente equilibrio interno si mantiene attraverso la forza della vita comune, l’uguaglianza delle condizioni materiali di vita, la potenza delle credenze religiose, lo scambio di 'favori'. L’autorità viene esercitata all’interno della famiglia, è legata alla parentela e non al territorio. I legami di solidarietà sono basati sulle reti familiari, parentali, claniche, e devono essere rispettati: nel caso di un lavoro che ha bisogno dell’apporto di più persone (per esempio, la ristrutturazione o la costruzione di una casa) tutti i membri della famiglia allargata sono tenuti a 'dare una mano', anche quando ci sarebbero i mezzi per pagarsi un aiuto. Chi si dichiara indisponibile al lavoro viene non solo rimproverato all’interno della propria famiglia nucleare e allargata, ma da tutti i membri della comunità che lo descrivono come un 'disgraziato' e spesso allargano la critica all’intera famiglia di provenienza, che la percepisce su di sé come una mancanza, una vergogna, e ne fa una colpa grave a chi non si è voluto adeguare alle regole.
I conflitti sembrano ridotti al minimo con l’azzeramento dei motivi di rivalità: nessuna differenza sociale evidente, impossibilità di prevaricare gli altri, obbedienza alle tradizioni. Le sanzioni della disobbedienza sono per lo più solo morali (la disapprovazione collettiva), ma temutissime. 'Ciò che dice la gente' è ancora oggi una preoccupazione continua e un deterrente difficile da capire per chi vive in contesti culturali diversi, il controllo sociale è un meccanismo che determina spesso l’abbandono di quanti non sono d’accordo con la civiltà di paese ma, piuttosto che vivere 'sotto gli occhi di tutti', se ne vanno. Si tratta in gran parte delle forze migliori, cioè gli elementi più istruiti e le donne.

Solo persone di carattere molto forte riusciranno ad essere apertamente 'diversi', superare le critiche della propria comunità, e assumersi il rischio di diventare agenti di cambiamento. Questa situazione di conflitto non dichiarato come la paura dell’invidia e della sanzione sociale, la mancanza della possibilità di confronto esplicito perché qualunque discussione o divergenza di idee è vissuta come 'litigio' (che poi diventa irrisolvibile), il timore del pettegolezzo, generano assenza di fiducia fra gente dello stesso paese.

 

frammenti 1920

approfondimento | Una società frammentaria

Una delle caratteristiche delle culture alpine è la frammentazione sociale: frazioni di uno stesso comune, paesi di poche centinaia di abitanti non riescono ad agire insieme, a causa di litigi e rivalità inconsistenti.
Per tentare di capire situazioni che sembrano al limite dell’assurdo bisogna fare un salto indietro. Nei secoli passati, il sistema di sfruttamento dell’ambiente imponeva un tipo di insediamento 'a stella': perché ogni minuscola porzione del territorio fosse utilizzata al meglio (cioè col minimo sforzo per il massimo profitto), riducendo, per quanto possibile, i tempi di spostamento (a piedi), gli abitati umani erano sparsi un po’ ovunque. Il paesaggio alpino era insediato e frequentato fin negli angoli più remoti. In periodi in cui le comunicazioni erano difficili, le frazioni funzionavano come entità autonome. Spesso i matrimoni avvenivano fra le famiglie di una stessa frazione: così si rinsaldavano legami che andavano oltre l’interesse meramente economico. In alcuni casi, come a Samolaco, in Valchiavenna, per ribadire l’autonomia, addirittura la sede del consiglio comunale ruotava di anno in anno fra una frazione e l’altra. Così nessuno poteva 'credersi di più degli altri'. Esiste ancora oggi un orgoglio, un’identità di frazione e la tendenza a sentirsi discriminati se la sede comunale sta da un’altra parte.
Storie come queste evidenziano un’esigenza di localismo, ovvero di possibilità di autogestione da parte delle frazioni, che mal si concilia con le richieste di amministrazione accentrata che si è sviluppata nei comuni dal dopoguerra ad oggi.


 

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