La magia

Montagne e magia

Lo sciamanesimo e le religioni della natura

di Michela Zucca - SECONDA PARTE

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Il termine sciamano deriva dal tunguso “shaman”, e indica lo specialista che, fra questo popolo di 25mila uomini sparsi sul territorio siberiano dallo Jenisei all’Amur e dal Baikal fino alla penisola di Taymir, si occupa del rapporto con gli spiriti.

Dalla Siberia, la definizione è stata introdotta nella letteratura etnologica, e il suo uso si estende oggi fino al Sud Est asiatico e alla Melanesia, dalle terre artiche alle due Americhe fino alla terra del fuoco; sopravvivenze sciamaniche poi si possono riconoscere nelle zone convertite al cristianesimo. Lo sciamano è il mago delle religioni che si basano sulla divinizzazione della natura.

Lo sciamanesimo si basa su una concezione dell’universo animista e panteista, che può coesistere anche con altri culti, o può inglobare altre forme religiose in maniera sincretica: oggi, gran parte degli sciamani si professano cattolici. Ha dimostrato una straordinaria vitalità, perché, malgrado le persecuzioni feroci da parte dei cristiani ma anche degli atei socialisti (in Unione Sovietica, Cina, Vietnam) appena la repressione si allenta rispuntano fuori i 'vecchi credenti'. Si tratta sicuramente della manifestazione religiosa più antica della storia dell’umanità; resta ancora la più diffusa, a livello di estensione del territorio in cui si pratica, se non per il numero di praticanti. Minimo comun denominatore di culture e di etnie tanto lontane, è l’essere comunque società dedite in gran parte alla caccia e alla raccolta, anche se non mancano le conoscenze e le pratiche agronomiche. Comunque, lo sciamanesimo viene osservato nei grandi spazi terrestri che sono stati meno modificati dall’azione dell’uomo, normalmente ricoperti da fitte foreste, o dal deserto, o dai ghiacci: situazioni in cui l’ambiente determina ancora la vita, la morte, il reperimento del cibo. Condizioni in cui le forze espresse dall’ecosistema soddisfano anche i bisogni spirituali: per questo motivo, si parla di religioni della natura.

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Gli sciamani sono gli scienziati della selva (o del deserto, o del ghiaccio). Archetipo di ogni specialista religioso, figure mistiche, sacerdotali e politiche, sono gli intermediari fra il mondo degli uomini, quello degli spiriti e la natura, che spesso è ostile. Ma non basta: lo stregone, come il primario e il leader politico occidentale, deve possedere qualità fuori del comune, che generalmente si manifestano già in giovane età, e sono riconosciute da tutto il villaggio. Deve avere costanza e fermezza, e mirare dritto ad una meta, senza deviare mai dall’obiettivo, deve sapersi dominare nella psiche e nel corpo, deve saper sopportare la solitudine. Per acquisire la conoscenza, deve stare a stretto contatto con l’ambiente, in luoghi speciali e molto isolati, per lunghi periodi (come minimo un paio d’anni), senza incontrare o vedere nessuno, mangiando soltanto certi cibi. In questo modo riceverà gli insegnamenti degli spiriti. Poi, tornato a casa, deve essere in grado di mettersi in contatto con gli spiriti, e, a differenza del mago, esercita i propri poteri per il bene della collettività, è sottoposto ad un rigido controllo sociale e spesso (anche se non sempre, e non in tutte le culture) deve prendere potenti allucinogeni ad intervalli molto frequenti, osservando una dieta rigorosissima e lunghi periodi di astinenza sessuale, accettando che la droga, nel frattempo, gli rovini il corpo e la mente.

 

La religione delle streghe

Sulle Alpi, per migliaia di anni, la vita delle tribù della montagna si è basata su una concezione magica dell’universo che vedeva la terra come una Grande Madre che offriva nutrimento e protezione, e che doveva essere protetta e rispettata. Chi sapeva interpretare i segni, officiare i riti, comunicare con l’oltretomba, curare i vivi, accompagnare i morti nell’ultimo viaggio, chi conosceva le parole per evocare gli spiriti, scatenare gli elementi, proteggere gli uomini in viaggio e in guerra, chi poteva far nascere e decidere chi doveva morire, erano le donne. O meglio: le donne streghe, che avevano tutte le caratteristiche degli sciamani odierni, dove sono riusciti a sopravvivere all’avanzata del 'progresso'.

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È, questo, un campo di studio al confine fra l’antropologia e la storia: visto che in Occidente da secoli il cristianesimo ha tentato di distruggere ogni residuo di culto precedente, diversi ricercatori hanno applicato il metodo antropologico alla ricostruzione della vita di comunità che hanno subito i processi alle streghe, per tentare di rintracciare i resti dell’antica religione animista e panteista che forma il retroterra della cultura europea. Le fonti sono i documenti scritti (pochi), come le cronache, spesso assenti perché si parla, appunto, di territori e di insediamenti 'fuori dalla storia': le Alpi e i Pirenei specialmente: gli atti dei processi che si sono conservati, scritti dagli inquisitori, che quindi hanno lasciato un’interpretazione totalmente distorta dei fatti, la memoria orale, la leggenda. Attraverso una paziente opera di collegamento delle tessere mancanti, si sta cercando di tracciare un affresco che spieghi quali fossero le credenze popolari, i valori e la fede che la gente delle campagne e delle montagne d’Europa ha condiviso, per millenni, e che mostra ancora le sue vestigia malgrado la cristianizzazione forzata.

Si tratta, allo stato attuale delle ricerche, di una religione animista e panteista, incentrata sugli stati di trance e di modificazione degli stati di coscienza: molto simile allo sciamanesimo odierno. In questi rituali, i 'sabba', poi degradati a 'feste delle streghe', il sesso svolgeva una funzione molto importante anche a livello religioso, per propiziare la fertilità non solo delle donne, ma anche degli animali e delle piante, prima fonte di sopravvivenza. La Chiesa era lontana o assente del tutto: la maggior parte degli insediamenti alpini non disponeva di parroco fino a Medio Evo inoltrato; venivano impartite delle prediche di tanto in tanto, durante le visite pastorali: tanto che le Alpi rimasero 'terra di missione' fino agli anni ’20, a causa dei costumi 'degenerati' dei montanari.

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Il sabba delle streghe di Francisco Goya

Questo tipo di ritualità non era caratteristico delle montagne europee: era diffuso sull’intero continente europeo (e, forse, come affermano anche Carlo Ginzburg e Jung, è insito nella storia dell’umanità). Era la manifestazione di una religione arcaica: quello della dea madre terribile e feconda, che dona la vita ma è anche capace di toglierla senza pietà. La dea che non è né vergine, né martire: anzi, per lo più, non si interessa di principi morali, ma di cose utili; non si occupa di ciò che è giusto o sbagliato, ma della procreazione. Anzi, è tendenzialmente amorale: il suo compito non è portare agli uomini ideali di giustizia, o insegnare loro la lealtà reciproca: è dare la possibilità di creare vita nuova, abbondanza nei campi, fra gli animali, nelle case. La dea, rappresentazione della natura e degli istinti, non poteva lasciarsi servire dalla ragione: il suo è il regno delle sensazioni e dell’estasi, della trance, dell’opulenza, del rigoglio dei sensi: il suo cerimoniale è quasi sempre orgiastico, si svolge nell’oscurità della notte, magari durante una particolare fase lunare, in una radura nella foresta, sulla cima di una montagna, su un valico di passo, è accompagnato da musica selvaggia, danze folli, atti forsennati, assunzione di agenti psicotropi (la 'pomata delle strgehe') per disinibirsi o per riuscire a compiere il 'viaggio sciamanico'.

Tutte queste cose sono rimaste nel folklore, e costituiscono, oggi, un patrimonio identitario di enorme portata, che, a poco a poco, le 'tribù della montagna' stanno rivalutando e recuperando, con orgoglio e partecipazione, con l’aiuto di antropologi e di laboratori antropologici che spesso sono autogestiti, al di fuori delle strutture accademiche, dopo aver nascosto, per tanti secoli, i racconti delle proprie streghe avvolte nel ridicolo, nel disprezzo, nella vergogna.

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