Un addestramento alla vita?

... o un dilemma sulla nostra sorte?

di Franco Clementi

tarocchiLa prima cosa che si pensa al nominare la parola "gioco" è un'immagine di scherzo, di svago, di passatempo, ma l'animo umano è talmente complesso, per non dire contorto, che col tempo vi ha aggiunto implicazioni emozionali talmente variabili che la loro ricerca costituisce essa stessa... un gioco.

Difatti in esso c'è una base naturale, che condividiamo con gli altri mammiferi, che ci fa attraversare la prima età di vita cimentandoci in gare per burla, finte battaglie, innocue lotte, morsi solo accennati. Lo scopo di queste attività istintive è chiaramente un addestramento allo stato adulto nel quale possono prolungarsi nelle forme dello sport. Vi si impara difatti la convivenza con i nostri simili, il sapere che nella vita si può vincere, ma si può perdere, ci si allena anche fisicamente per le future fatiche, si acquista, nell'uomo, quel minimo di autostima che c'induce a proseguire il cammino. Tutti gli educatori concordano nel giudicare fondamentale l'attività ludica infantile.
Ma crescendo verso l'età adulta sembra che l'uomo abbia avuto modo di specializzarsi in forme di gioco più complesse. Si va infatti da attività ove tutto sembra legato alla fortuna, come nel lotto e nelle lotterie, ad altre dove tutto è matematicamente legato al calcolo razionale, come negli scacchi. Fra questi estremi altri giochi che variano in percentuali diverse le quote del razionale e del caso. Nel calcio, ad esempio il falso rimbalzo della palla per un'irregolarità del terreno o una distrazione dell'arbitro, possono annullare la bravura di un'atleta.

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Altra divaricazione di significati è quella tra i sentimenti che accompagnano il gioco: si va infatti dal puro divertimento del bambino che corre nel giardino con un aquilone, all'ansia del frequentatore di bische che mette in palio tutta la sua fortuna scommettendo su una carta, per non parlar dei fanatici (fortunatamente pochi) che per rimbambirsi di emozioni e di adrenalina, si cimentano nel cosiddetto "gioco estremo", come la "roulette russa" (a proposito delle scommesse gestite dallo stato, le cui ritenute sul monte premi sono ben oltre il limite dell'usura, c'è chi malignamente le ha definite "La tassa sugli imbecilli").

Un'ulteriore variante è il numero dei partecipanti. Ci sono infatti giochi di squadra e giochi solitari (come quelli con le carte, frequentati sovente da donne che chiedono risposte a certe aspettative amorose). Diversi, ma ugualmente caratterizzati dal non dover richiedere compagnia, sono i giochi enigmistici, che in molti casi, oltre alla sagacia, esigono anche un minimo di cultura. In questi casi si ottiene una specie di sfida con se stessi che se superata può dare appagamento.
Ma se ci ripensa, in fondo, il gioco è un'attività cosi diffusa e universale da costituire una sorta di sottofondo dell'intera nostra vita. In ogni scelta, infatti, piccola o grande che sia, noi esercitiamo una scommessa, cioè mettiamo in gioco qualcosa di noi.

Di tal parere era il grande Imperatore Adriano, che sul suo letto di morte, con visione stoica sussurra dei semplici versi (che io molto liberamente traduco): "Piccola anima, dolce e leggiadra , ospite e compagna del corpo, te ne stai per andare in luoghi freddi, scoloriti, spogli, e non più giocherai con me, come eri solita fare" (Animula, vagula, blandula- hospes comesque corporis,- quae nunc abibis in loca – pallidula, rigida, nudula, - nec, ut soles, dabis iocos...).
Per il sovrano romano l'aver retto saggiamente le sorti di un Impero, aver vittoriosamente combattuto tante battaglie, aver potuto godere di profonda sensibilità estetica, aver costruito grandi opere, altro non era stato che un "gioco" dell'anima.
Ma una scommessa più audace, per una posta più alta, viene da un dubbio: e se l'animetta di Adriano invece di finire irrevocabilmente in luoghi freddi e inospitali trovasse con la fede in Dio una felicità stabile, eterna?

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Il filosofo Blaise Pascal, che allo studio della metafisica associa una matematica predisposizione per il calcolo delle probabilità, pone la questione nei termini di una scommessa sull'esistenza o meno di Dio. Egli conclude che chi punta sulla fede fa la scelta più felice: non solo non ha niente da perdere (se Dio non esiste), ma addirittura può assicurarsi la vita eterna (se invece Dio esiste), mentre lo scettico non ha nulla da guadagnare e se mai può perdere molto negando la Divinità.
Questo famoso dilemma non ha smesso di sollecitare discussioni e rimane tuttora un non banale oggetto di meditazione, specie se ai suoi termini si aggiunge che fare il bene ha già in sé un suo premio; e fare il male ha già in sé la sua pena.
In qualche modo anche Albert Einstein entra a parlare di gioco, quando, al concludersi delle sue intuizioni sulle leggi dell'Universo, sia quelle della meccanica celeste, sia quelle delle particelle subatomiche, constata che: "Dio non gioca a dadi". Conclusione che coincide con quella teologica che non può ammettere un Creatore che agisce, come noi mortali, "per tentativi ed errori".

Dunque giochi grandi e giochi meschini, giochi morbosi e giochi innocenti, giochi intelligenti e giochi senza capo né coda...
Ma noi, ragazzi, a che gioco giochiamo?

 

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