Riccardo Cocciante

L’Inizio negli inizi di una carriera

di Franco Ferramini

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Riccardo Cocciante (foto: imusicfun.it)

Riccardo Cocciante, come saprete, è uno dei più grandi cantautori-musicisti della musica italiana.

Nato a Saigon il 20 febbraio 1946 è stato anche compositore di un’opera, «Notre dame de Paris» che lo ha reso celebre e affermato in tutto il mondo. Ha sempre affascinato quel luogo di nascita, così lontano e intrigante, per un artista decisamente occidentale come lui. Nacque lì a causa della professione del padre, abruzzese di Rocca di Mezzo (Aquila) e proprietario di piantagioni in Vietnam, madre francese. Sangue transalpino dunque nelle vene di Cocciante, così forse si spiega anche il suo grande successo oltralpe e, di fatto, la sua cittadinanza francese.

Nel 1957 la famiglia di Riccardo si trasferì a Roma, in quanto la situazione in Vietnam non era delle migliori, e la formazione del giovane undicenne si perfezionò al «Licèe Chateaubriand de Rome», rinomata scuola francese di Roma. Gli esordi in campo musicale furono come quelli di tanti ragazzi dell’epoca: complessini, locali, interesse da parte di alcune case discografiche fino alla grande occasione, una canzone per la colonna sonora di un film di Carlo Lizzani del 1971, «Roma bene». In quel periodo nacque la conoscenza con due autori di testi, Marco Luberti e Amerigo Paolo Cassella e un nuovo importante contratto con la RCA italiana. Questi gli inizi di Riccardo Cocciante, o meglio «Richard» come si faceva conoscere a quei tempi.

La storia di Mu invece è quella di un continente misterioso, al confine tra la realtà e la fantasia, forse nato e forse poi sparito, cui molti attribuiscono la nascita dell’essere umano. Fantasiosamente complessa è la storia di questo continente perduto, ipotetica culla della civiltà umana, a partire dalle scoperte dell’abate francese Charles Etienne Brasseur (1814-1874) fino al colonnello in pensione dell’esercito britannico James Churchward (1851-1936), autore quest’ultimo nel 1926 di un libro di successo, «Mu - Il continente perduto», aggiornato nel 1931. Questo continente, teoricamente situato tra le isole Hawaii a settentrione e l’isola di Pasqua e le isole Figi a meridione, per molti è la sede della nascita dell’uomo, indipendentemente dalle verità spirituali e dalle varie forme a queste connesse con le quali sarebbe stata generata la razza umana. Singolare quindi è la coincidenza, nel 1972, tra questa affascinante storia di genesi dell’essere umano e l’esordio con il suo primo album «Mu» del nostro «Richard» Cocciante.

Iniziamo col dire che chi volesse ascoltare oggi per la prima volta questo lavoro credo che possa avere l’impressione che si tratti di musica e testi un po’ 'datati'. Tutto sta nell’accezione che si vuol dare a questo termine. Chiaro è che musica suonata sul serio senza troppi artifici tecnologici può apparire all’ascoltatore disattento un po’ troppo banale, ma assolutamente non è così.  La tecnologia si può suonare davvero senza affidarsi a comodi loop o comodi distorsori del suono provvidenziali per coprire magagne sulle capacità con gli strumenti o con la voce. Senza voler essere degli eccessivi puristi, è così difficile ritenere che musicalmente hanno molto più valore poche note suonate 'come dio comanda' piuttosto che ripetizioni all’infinito aiutate da computer e altre diavolerie elettroniche? Ma qui si aprirebbero temi degni di dotti convegni o approfonditi volumi, che non si contestualizzano nello spazio di un articolo.

Per tornare al nostro album Mu, oltre alla musica a volte complessa e a volte 'naif', anche i testi sono figli di un periodo in cui la spiritualità si fondeva con stili di vita hippie, e il grido di dolore dei giovani forse era lo stesso che ad esempio oggi possiamo ritrovare nelle proteste «Fridays for future»: un allarme accorato sul futuro dell’umanità. L’album inizia con una «Introduzione», un’ouverture di più di quattro minuti che inizialmente si ispira a brani di musica classica contemporanea, mi viene in mente il Ligeti di «Odissea nello spazio», per poi sfociare in un incedere decisamente progressive, passando da un uso del sitar (non riesco a capire se elettronico) ad un ritmo incalzante che porta al primo brano cantato: «Ora che io sono luce», un pezzo che descrive la genesi della terra e dell’uomo, secondo una concezione laica e scientifica, «... matrimonio di elementi, un gran lampo celebrò, una cellula di vita, nella culla si creò, evolvendosi nel tempo, il suo posto conquistò, fu per caso o per amore, che poi uomo diventò…». In «Coltivò tutte le valli» poi, l’umanità si autodistrugge ma si riproduce e si espande fino ad arrivare al brano «Uomo» il quarto dell’album, che ai tempi fu anche un discreto successo come singolo, riprodotto spesso in radio; diciamo l’esordio vero e proprio in popolarità del nostro, a quei tempi «Richard» e non «Riccardo».

Il quinto brano dell’album, …Fiesta» inneggia al «popolo di Mu», prima umanità della terra, popolo pacifico alla ricerca della Verità e dell’Amore, portatore di seme dell’eternità. Un flauto di Pan festante accompagna il testo in una sorta di danza popolare e quasi divinatoria; ci prepariamo alle ultime quattro canzoni, le più mistiche dell’album. La sesta traccia «Era mattino sul mondo» dice: «… chiudi gli occhi ed immagina di espanderti con la tua volontà, e la tua coscienza l’universo abbraccerà, e saprai che tutto è vita, e ogni cosa che c’è è una parte di te…». Sulla stessa falsariga è la seguente «Vita», quasi uno spiritual che descrive la passione di Cristo, ma anche il processo di reincarnazione tipico delle religioni orientali, quasi una descrizione spirituale di tutte le religioni del mondo. Fino all’invocazione «A Dio», la celebrazione di una vera e propria preghiera collettiva, il penultimo brano del disco. L’ultima canzone, «Corpi di creta», descrive la Genesi, i sei giorni in cui Dio creò il mondo, finisce con diversi minuti strumentali in progressione musicale trionfale, per finire come è iniziato l’album, suoni e voci provenienti dall’universo della musica contemporanea.

Decisamente un lavoro difficile, complesso, questo primo album di Riccardo Cocciante. Risentito quasi cinquant’anni dopo la sua uscita è quasi impossibile riconoscere le canzoni d’amore profonde e disperate per il quale la gran massa del pubblico lo conosce. Questo autore italo-francese a mio parere è sicuramente il miglior cantore italiano 'specializzato' nell’amore in tutte le sue sfaccettature, oltre che il compositore di opere di successo internazionale, e questo suo inizio, con tema «l’inizio del mondo», penso che sia da riascoltare per capire come le buone qualità nelle opere d’arte in genere si manifestino già agli albori di una carriera. Un successo segnato sin dal debutto.

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