Reggere le fila

Fra marionette e burattini

di Veronica Pozzi

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Questi erano gli amici d'infanzia che i "giupinat bergamaschi" portavano in Valtellina e in Svizzera. Se al giorno d'oggi si vuole regalare ad un bambino un giocattolo dal sapore vagamente retrò, fra le possibilità di scelta compaiono anche marionette e burattini.

Queste figure, attori che popolano le nostre memorie d'infanzia, sono state per molti anni accantonate in soffitta e oggi vengono rispolverate in occasione di rappresentazioni un po' di nicchia.

Nell'antichità, marionette e burattini venivano utilizzati nei templi per raccontare la religiosità, spiegandola in una forma a tutti comprensibile e anche attraente. Il teatro di animazione, con periodi di alti e bassi a tratti un po' rocamboleschi, è sopravvissuto nel corso della storia per poi avere nel Rinascimento italiano il suo più grande exploit, in concomitanza con il diffondersi della Commedia dell'Arte e delle sue maschere, le quali presero vita anche nelle forme di marionette e burattini, le prime mosse tramite dei fili e i secondi per mano del burattinaio.

Fin dal sedicesimo secolo, compagnie di burattinai e marionettisti si spostarono per tutta Europa, portando i loro spettacoli in piazze, fiere e palazzi signorili. La presenza di compagnie italiane in Francia, Austria, Germania e Spagna, è attestata dalla fine del Cinquecento mentre nella prima metà del Seicento l'Inghilterra fu la favorita. Questa vita itinerante di molte compagnie teatrali contribuì al diffondersi di maschere tipicamente italiane: la più fortunata fu quella di Pulcinella, che diventò Polichinelle in Francia, Kasperl in Germania e Punck in Inghilterra, dove trovò anche una dolce metà, Judy. La parantesi nomade delle compagnie di marionettisti, tuttavia, si arrestò per prima: nel '70 fiorirono i primi teatri stabili di marionette a Venezia, poi a Roma e Bologna. Queste compagnie, in genere formate da una decina di persone che manovreggiavano sulle 200 marionette, richiedevano infatti una preparazione e un allestimento complessi. Fu così che i marionettisti lasciarano piano piano le piazze, preferendo fornire il teatro stabile di poche città con produzioni fresche, senza dover montare importanti scenografie solo per poche rappresentazioni.

La vita dei burattinai, invece, fu molto diversa e per certi versi più avventurosa. Le compagnie, formate spesso solo da due o tre persone, non di rado una coppia di coniugi, continuarono a spostarsi di paese in paese. Di norma, ogni compagnia poteva contare su un insieme di 30 burattini corrispondenti alle maschere della Commedia dell'Arte, ma anche ad animali e figure fantastiche. Approfittando della loro snellezza nello spostarsi, queste compagnie raggiunsero un pubblico eterogeneo, adattando la loro produzione all'umore e alle esigenze alla platea di volta in volta presente e inserendo qua e là qualche battutina nel dialetto locale.

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Le valli bergamasche furono una culla di burattinai, chiamati in dialetto Giupinat. Molti di questi si spinsero in Valtellina, sul lago di Como e nella Svizzera italiana con le loro produzioni. Spostandosi di luogo in luogo con mezzi pubblici o con asini, questi burattinai si adattavano ad una vita modesta, dormendo nelle locande e occupandosi di tutto ciò che era collegato allo spettacolo, dalla pubblicità ai compensi, dalla creazione alla realizzazione dei burattini stessi. Come testimonia un libro sul giupinat Fioro Losa, spesso nelle nostre valli con i suoi burattini, la vita non era facile e il compenso modesto, parte del quale andava versato per i diritti di affissione dei volantini pubblicitari, alla parrochia o alla locanda per l'uso di panche e sedie. Tuttavia, in inverno o in concomitanza con periodi religiosi di penitenza, il burattinaio rimaneva senza lavoro. Queste complicanze, unite agli stereotipi che spesso discrimina(va)no questi artisti itineranti ritenendoli individui sospetti e potenziali criminali, smorzarono la voglia di molti teatranti. E fu così che, in coincidenza del boom economico, molti preferirono la stabilità e la comodità del lavoro in fabbrica all'incertezza e alle difficoltà della vita da burattinaio.

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Per tutte queste cause, marionette e burattini si spensero poco a poco. Alcune esperienze contemporanee stanno cercando di rispoverarne i valori, ma la loro frammentarietà rende il panorama ancora troppo precario. In realtà, il potenziale di marionette e burattini è altissimo. Capaci di far sognare ed evadere un pubblico adulto, di intrattenerlo e di stimolarne le riflessioni in modo leggero ma efficace anche su temi seri, questi personaggi dell'animazione possono rivelarsi fidi amici dei più piccoli. Vari esperimenti sono stati fatti sulla capacità terapeutica di marionette e burattini: ad esempio, quello di Gustav Woltmann al Bellevue Hospital di New York o quello della psicoanalista Madleine Rambert in Svizzera negli anni '30. Oltre a stimolare il gioco, la fantasia e la narazzione, burattini e marionette hanno infatti una cospicua valenza per attività diagnostiche e terapeutiche in quanto evidenziano con naturalezza carenze fisiche, sensoriali o di movimento del bambino che può imparare, maneggiando questi personaggi, a coordinare i suoi movimenti e a viaggiare con l'immaginazione. Ma, ancora una volta, questi benefici devono fare i conti con preconcetti, che ingabbiano il teatro d'animazione al mero (e spesso ritenuto non importante) intrattenimento.

 

Letture consigliate e fonti

  • Pirovano M., Pozzoni C. Fioro Losa e il teatro del gioppino. Estratto da Archivi di Lecco, n. 1, gennaio-marzo 1987
  • Poieri B. Il teatro minimo italiano. Pinocchio, burattini, marionette e pupi. Brescia, Associazione Amici del Teatro Minimo, 1994

 

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