Modelli di famiglia

Una costruzione culturale tutt’altro che naturale

di Michela Zucca - PRIMA PARTE

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Qualunque società umana, senza eccezioni, fino ad ora è stata gestita, a diversi livelli, dalle strutture parentali.

L’organizzazione del parentado si concretizza nei vari tipi di famiglia. La famiglia è lo strumento privilegiato di condizionamento culturale, di costruzione dell’identità di appartenenza: etnica, sociale, religiosa, politica, esistenziale, affettiva: perché al suo interno si realizza la prima educazione del bambino.
Nel senso stretto del termine, si tratta di un gruppo di persone legate dalla consanguineità, dal matrimonio o dall’adozione che vivono abitualmente insieme, col fine di sopravvivere economicamente, identificarsi individualmente e collettivamente in un’entità socialmente riconosciuta che fornisce status, allevare i figli, curare gli individui più deboli (gli anziani). Di solito una famiglia riveste personalità giuridica, possiede proprietà e beni comuni, i suoi membri sono tenuti alla cooperazione economica. In realtà, qualsiasi vera famiglia cambia nel tempo, si divide e si disfa, forma altri nuclei ripartendo i propri membri, mentre continua ad esistere il sistema di parentela che l’ha definita.

Malgrado i sostenitori del 'naturale', la famiglia non è un qualche cosa di preciso e determinato: anzi. È una delle creazioni culturali più difficili da studiare, perché impossibile, o quasi, da generalizzare: è una delle espressioni tipiche, peculiari, di una civiltà, estremamente varia e differenziata, campo privilegiato di studio degli antropologi.

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foto: Famiglia di migranti, 1910

Esistono tantissimi modelli di famiglia: gli etnologi hanno tentato di sintetizzarne tre. La famiglia nucleare, o coniugale, è formata da padre, madre, figli. Può sussistere da sola, o costituire un elemento che va a formare una famiglia estesa, in cui diverse cellule coabitano sotto lo stesso tetto, o comunque si sentono parte di un medesimo ambiente familiare, e spesso lavorano insieme: si pensi per esempio alla famiglia contadina tradizionale, in cui il possesso della terra e delle case, come d’altra parte il lavoro, era indiviso, l’autorità era esercitata dal patriarca o dal gruppo dei fratelli figli del capostipite. La famiglia composta, infine, è quella che si può trovare nelle società in cui vige la poliginia (matrimonio dell’uomo con più mogli) o la poliandria (molto meno diffusa: in questo caso è la donna che può sposare più uomini), nella quale abitano nella stessa casa il marito, con le sue mogli e i figli, o la moglie, con i suoi mariti e i figli. Può anche succedere, però, che i coniugi vivano in luoghi differenti, e che si incontrino solo di tanto in tanto.

Non esistono regole fisse: nella stessa società, poi, possono coesistere modelli diversi di famiglia, anche se quello maggiormente auspicabile e desiderabile potrebbe essere uno, tuttavia non si escludono gli altri.

Nell’Italia contadina, la famiglia coniugale è sempre esistita, più di quanto non si creda, in tempi antichi come il Medio Evo o recenti come il XIX secolo, per scelta degli sposi, o per necessità, perché per esempio i due coniugi erano rimasti senza parenti, così come i nuclei monoparentali, per l’alto numero di nascite illegittime, o per la morte o emigrazione (per lavoro, guerra o abbandono) del padre. Sulle Alpi per esempio, la regola era la famiglia monoparentale: perché gli uomini di solito emigravano, tornavano (se andava bene) una volta all’anno, inseminavano, e ripartivano. Dopo qualche anno, non ritornavano nemmeno più: erano morti, si erano trasferiti ancora più lontano, si erano fatti un’altra famiglia. In queste condizioni, il nucleo si strutturava sull’asse materno: nonna più figlia con figli. Talvolta si aggiungevano zie e zii rimasti soli.

antropologo muoreLa pratica dell’adozione di fatto era molto diffusa. La morte di parto di donne che avevano già diversi figli era normale: i bambini venivano 'spartiti' fra le sorelle o le cugine. I piccoli venivano anche 'venduti': portati al mercato e assegnati a famiglie più ricche che li facevano lavorare come aiutanti, per togliersi di torno qualche bocca da sfamare. Molti poi diventavano parte integrante della famiglia con cui vivevano.

  

La rivoluzione sessuale

La «rivoluzione sessuale» iniziò negli Stati Uniti alla fine degli anni ’50 con l’emergere di una nuova generazione di scrittori: la Beat Generation. Intellettuali di estrazione borghese che contestavano il sistema, praticando comportamenti 'moralmente riprovevoli': non lavoravano, adattandosi e vivere di espedienti fra le pieghe di una società opulenta; non avevano una casa: vagabondavano da un posto all’altro (clima tropicale e disponibilità di automobili permettevano cose a noi semplicemente impensabili allora); consumavano droghe, cambiavano partners, ma soprattutto lo dicevano apertamente.
In Italia la contestazione assunse forme molto diverse: gli operai chiedevano migliori condizioni di lavoro e aumenti di salari che li sollevassero dalla povertà. Ma la composizione sociale del proletariato di fabbrica, formato in gran parte da giovani emigrati meridionali sradicati dal proprio contesto familiare svincolati dal controllo dei genitori e della comunità, le modalità della protesta, l’occupazione delle fabbriche, e poi l’occupazione delle case, lunghe ore passate fuori casa assieme per riunioni, manifestazioni, presidi, fornirono occasioni importanti di condivisione e molto tempo da passare insieme ai giovani dei due sessi.

Bisogna ricordare poi che quanto meno nel Nord, all’interno delle fasce proletarie urbane e della popolazione contadina alpina, esisteva già una certa libertà sessuale: tutte le donne lavoravano fuori casa e godevano di larga libertà di movimento: ben poche arrivavano vergini al matrimonio. Ma di sesso, e specialmente di diritto al piacere da parte femminile, non si poteva parlare in maniera aperta: lo impediva la morale cristiana, l’ignoranza del proprio corpo. Spesso le ragazze acconsentivano ai desideri del partner per non perderlo, la paura della gravidanza era sempre presente. Inoltre i giovani uomini che arrivano nelle fabbriche e nelle università alla fine degli anni ’60 sono i primi, nella storia italiana, che non hanno potuto approfittare dell’iniziazione sessuale nei bordelli, legalmente chiusi per la legge Merlin dieci anni prima, e in questo sono fondamentalmente diversi dai loro padri, cresciuti in condizioni in cui la prostituzione era legalizzata e la visita alla casa di tolleranza indispensabile per passare dall’adolescenza alla maturità. In ogni modo e con tutti i limiti, erano già stati abituati a vedere le donne in maniera diversa.

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La situazione cominciò a cambiare – radicalmente – quando alle lotte operaie si unirono quelle degli studenti. La scuola di massa e il baby boom degli anni ’50 avevano portato all’università e nelle scuole superiori milioni di giovani. Per la prima volta, potevano studiare ragazzi che venivano dai ceti bassi – e che portavano in dote comportamenti e valori, anche sessuali, totalmente differenti rispetto a quelli borghesi. Non solo, per la prima volta, le donne accedevano davvero allo studio: non erano ancora la metà della popolazione universitaria, ma quasi, specie nelle facoltà umanistiche da cui partì la protesta. Le modalità furono le stesse del movimento operaio: occupazioni che duravano per settimane, ragazze e ragazzi che dormivano assieme. Cominciarono a poter godere di una libertà nuova, fuori dal controllo occhiuto che le madri esercitavano su ogni potenziale fidanzato da trasformare in buon partito matrimoniabile. Ma stavolta, rispetto alle operaie, queste giovani donne potevano disporre di strumenti culturali per capire le motivazioni profonde che le tenevano nell’ignoranza del proprio corpo e del diritto al proprio piacere: inoltre erano in condizioni di sperimentare, subito, coi propri coetanei e con quelli di propria scelta, la possibilità di sensazioni diverse nel rapporto sessuale.

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Liberté, égalité, sessualité

I periodi di grandi rivolgimenti sociali sono favorevoli alle donne: quando il movimento studentesco e quello operaio si saldarono, giovani borghesi e proletari forse per la prima volta si incontrarono davvero – anche sul piano sessuale – senza porsi grossi problemi di classe – quanto meno in quegli anni – e si mescolarono scale di valori e comportamenti che mai avevano avuto contatti, né dialogo, fra loro. Una nuova spontaneità cominciò a praticarsi fra le borghesi, nuove richieste consapevoli furono avanzate dalle proletarie. Furono anni in cui le mescolanze di classe, di pensiero, di atteggiamenti verso la vita rimandano ancora una sensazione di rimpianto per chi non li ha vissuti.

pillola 1280 webIn quegli anni, poi, anche il progresso della medicina favorì il processo di liberazione. La pillola anticoncezionale è un farmaco antifecondativo messo a punto nel 1956 dal medico americano Gregory Pincus. Fu introdotta in Europa nel 1961 e in Italia nel 1972. Si poteva finalmente eliminare il millenario terrore di rimanere incinte per riuscire a prendersi il piacere. Si rivendicava il diritto all’orgasmo. Pillola e spirale sono metodi contraccettivi ad iniziativa anticipata o 'premeditata': non solo le donne possono decidere quando, come e se è opportuno avere un figlio: la novità sostanziale consiste nel fatto che gli uomini non possono più esporle contro la loro volontà al rischio di una gravidanza, e il loro desiderio di paternità diventa dipendente da quello di maternità della compagna. Perdono una quantità enorme di potere. In seguito, coi progressi della genetica, non possono nemmeno addossarle la responsabilità della propria sterilità (altra cosa che avevano fatto per millenni), né negare una paternità che non desiderano assumere.

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