Il vino nell’Antica Grecia

Ne parlavano Omero, Esiodo, Tucidide e Sofocle

di Natale Contini - PRIMA PARTE

vino dea calice 1920

Sarà la letteratura classica giunta fino a noi ad aiutarci a tracciare alcune considerazioni sul vino nell’antica Grecia che ampiamente descrive la vitivinicoltura sviscerandola in tutti i suoi aspetti.

Da Omero a Esiodo, da Tucidide al filosofo Platone (noto per il suo puritanesimo) nonché allo storico Senofonte, tutti scrivono con dovizia di particolari della bevanda tanto cara a Dioniso. La vite infatti fu assieme al grano e all’olio uno dei prodotti principali della Grecia.

Tucidide, scrive alla fine del V secolo a.C. «I popoli del Mediterraneo cominciarono ad emergere dalla barbarie quando impararono a coltivare l’olivo e la vite». Senza conoscere l’inizio di questo processo Tucidide si rifà sicuramente alla storia del suo Paese uscito dalla barbarie dorica (il cosiddetto medioevo greco) per iniziare un nuovo periodo di civiltà ricollegandosi alla preesistente civiltà micenea e a quella achea.

In antichità i vini greci, in particolare quelli dolci, erano famosi ovunque: i colonizzatori greci impiantarono la vite e con essa il culto del vino nelle nuove terre. Questa bevanda ha ricoperto un ruolo fondamentale sin dai primi periodi della formazione e dello sviluppo della civiltà ellenica, e fu proprio dall’antica Grecia che il vino si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo. Pare infatti certo che siano stati i Greci, un millennio prima di Cristo, a introdurre la vite in Nord Africa, Andalusia, Provenza, Italia meridionale (Magna Grecia) e Sicilia. Non a caso nel V secolo a.C. il drammaturgo Sofocle proclamò l’Italia il paese 'prediletto da Bacco', mentre altri scrittori attribuirono il nome di 'Enotria' («paese dei pali da vite») alle terre abitate dalle antiche popolazioni illiriche stabilitesi sulle coste di Calabria, Lucania e Campania. Esse infatti disponevano le viti, tenute basse, a tre a tre, legate in piccole piramidi. Ancora oggi in tali regioni sono coltivati diversi vitigni che si ritiene abbiano una diretta derivazione greca (greco, grecanico, aglianico, ecc.).

aglianico

Vitigno Aglianico (foto: vinoway.com)

I Greci perfezionarono le tecniche viticole, specie la potatura per ottenere grappoli più concentrati  e ricchi di sostanze zuccherine,  favorendo la coltivazione della vite e la produzione di vino, fino a farli divenire parte integrante delle culture e dei riti dei popoli mediterranei.

Del vino abbiamo una visione più precisa andando avanti nel tempo, e precisamente tra il X e l’VIII secolo a.C., leggendo quanto scritto da Omero ed Esiodo di Ascra. L’Odissea ci fa con certezza risalire alle abitudini alimentari di quell’epoca.

Nell’arco della giornata si consumavano tre pasti, il primo è l’ariston, la mattina con la presenza sulla tavola di pane e vino: «Eumeo servendo sul tagliere le carni arrosto avanzate dalla sera, si affrettò ad ammucchiare nelle ceste il pane di frumento ed a mescere nella coppa un vino profumato di miele» (Odissea XVI, 48-50). Gli altri due pasti, il deiphon e il dorpon, corrispondono a pranzo e cena; ovviamente era in tali occasioni che avveniva il principale consumo della bevanda. La presenza del vino nelle mense della Grecia antica era simbolo di prestigio sociale poiché la produzione e la lavorazione del prodotto richiedevano terreni e materiali di costo elevato.

Fu a partire dal 600 a.C. che iniziarono le esportazioni del vino greco attraverso il Mediterraneo fino in Gallia dove i coloni greci fondarono Marsiglia e da qui inviarono il loro vino fino in Borgogna. Quindi, grazie alle successive colonizzazioni, tale vino giunse anche nel Mar Nero, in Anatolia, nelle coste africane e in tutte le terre occidentali raggiungibili per mare dal territorio ellenico.

Il territorio greco con la sua diversità di microclimi possedeva varie zone caratterizzate da una florida vitivinicoltura. Ognuna era specializzata nella produzione di uve e vini aventi caratteristiche organolettiche diverse. Le varietà erano probabilmente molto numerose tant’è che Laerte, padre di Ulisse, si vantava di avere «cinquanta filari ciascuno di un’uva diversa, così da avere uva matura dall’estate alla fine dell’autunno».

Quando Omero racconta delle città d’origine dei capi degli Achei e ne descrive gli svariati pregi, non trascura tra questi la presenza di viti rigogliose e traccia così qualche linea di enografia nazionale. «Arne dai molti grappoli d'uva… Istiea ricca di vigne… Epidauro ricca di vigneti…», Omero nomina anche Pramno, terra famosa per il suo vino, che venne mescolato a droghe e offerto dalla maga Circe ai compagni di Odisseo per allettarli, prima di trasformarli in porci: «Per loro mescolava formaggio e farina d'orzo e miele verde con vino di Pramno» (Odissea X, 233-234).

Methymneoswinery Lesbo

Azienda vitivinicola Methymnaeos presso Chidira a Lesbo

Molto famoso anche il vino di Lesbo (isola a nord di Chio), patria della poetessa Saffo, il cui fratello faceva, a quanto pare, il doppio mestiere di mercante di vino e ruffiano. Questo vino veniva commercializzato con il nome dell’isola tanto era buono; sembrerebbe trattarsi di una specie di tokaji eszenczia (pregiato vino da dessert ungherese) denso e dolcissimo ricavato da uve non pigiate e poco fermentate, il cui succo viene lasciato colare lentamente.

Il vino di Lemno (isola dell’Egeo settentrionale) viene invece dato in premio agli Achei per aver costruito in breve tempo il grande muro utilizzato in difesa dei Troiani: «Erano là a riva molte navi, venivano da Lemno con un carico di vino. Le inviava Euneo... A parte poi, per gli Atridi Agamennone e Menelao, aveva mandato mille misure di vino» (Iliade VII, 467-471). I Troiani invece si fornivano di vino dalla Frigia in Asia Minore.

Omero descrive poi l’isola di Ogigia dove Odisseo visse per sette anni con la ninfa Calipso, e racconta come fra la rigogliosa vegetazione di ontani, pioppi e cipressi profumati «si stendeva vigorosa con i suoi tralci intorno alla grotta profonda la vite domestica: era tutta carica di grappoli» (Odissea V, 68-69). Anche ad Itaca per quanto aspra e non molto vasta possa essere quell’isola, «vi è frumento in abbondanza, vi è vino» (Odissea XIII, 244). Sempre nell’Odissea, Omero nel libro IX dedica un intero passo al vino di Marone, sacerdote di Apollo, un vino rosso dolce come il miele e tanto forte da dover essere diluito con venti parti di acqua:

«Lascio i compagni della nave a guardia,
E con dodici sol, che i più robusti
Mi pareano e più arditi, in via mi pongo,
Meco in otre caprin recando un negro
Licor nettàreo, che ci diè Marone
D'Evanteo figlio, e sacerdote a Febo,
Cui d'Ismaro le torri erano in cura.
Soggiornava del Dio nel verde bosco,
E noi, di santa riverenza tocchi,
Con la moglie il salvammo e con la prole.
Quindi ei mi porse incliti doni: sette
Talenti d'òr ben lavorato, un'urna
D'argento tutta, e dodici d'un vino
Soave, incorruttibile, celeste,
Anfore colme; un vin ch'egli, la casta
Moglie e la fida dispensiera solo,
Non donzelli sapeanlo, e non ancelle.
Quandunque ne bevean, chi empiea la tazza,
Venti metri infondea d'acqua di fonte,
E tal dall'urna scoverchiata odore
Spirava, e sì divin, che somma noia
Stato sarìa non confortarne il petto.
Io dell'alma bevanda un otre adunque
Tenea, vivande a un zaino in grembo:
Ché ben diceami il cor quale di strana
Forza dotato le gran membra, e insieme
Debil conoscitor di leggi e dritti,
Salvatic'uom mi si farebbe incontra»

 

ulisse polifemo

foto: ilsapere.org

Come sappiamo, Ulisse, nella sua lunga peregrinazione, fece poi di questo vino la sua arma segreta. Si veda al riguardo l’arcinoto episodio di Polifemo ubriacato da Nessuno con il vino di Merone.

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[sarà pubblicata il 8 ottobre 2021]

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