I cinque sensi

L'annullamento del sé

La costruzione della percezione delle donne che devono servire

di Michela Zucca

papessa

La papessa

Per i greci antichi, verde e giallo erano lo stesso colore. Per i bambara africani, esistono soltanto tre tinte: il rosso, che copre lo spettro di tonalità che va dal violetto al verde tenero; dal crema al giallo limone; il nero include le nuances blu, chiare e scure; il bianco si suddivide in bianco candido e bianco livido.

La stessa cosa avviene con la concezione del tempo: gran parte delle incomprensioni fra operatori comunitari nord europei e mediterranei riguarda il valore che viene attribuito alle scadenze imposte dalle commissioni: da pianificare con largo anticipo per gli uni, da posticipare fino all’ultimo momento, quando non se ne può più fare a meno, per gli altri. Il risultato, in termini progettuali, può anche essere lo stesso: ma la diversa percezione dello spazio temporale causa lo scambio di accuse di pigrizia da una parte, di inutile pedanteria dall’altra. I pubblicitari, oltre agli antropologi, sanno bene che la percezione di qualunque cosa non è per niente scontata: obbedisce a dei modelli culturali. L’antropologia della percezione studia che cosa, di un messaggio (visivo, uditivo, olfattivo…) si riesce effettivamente a riconoscere, come, e perché: qual è il codice che permette, o proibisce, di discernere una certa immagine; quale valore e in che contesto le viene attribuito; come cambia il significato nel tempo e nello spazio.

In altre parole: vediamo cose, sentiamo musiche, gustiamo sapori, annusiamo profumi, proviamo sentimenti che siamo stati abituati a distinguere. Il resto, non riusciamo a identificarlo. Qualsiasi suono, o visione, può raggiungere il cervello di una persona senza affiorare alla sua coscienza. Possiamo dire che sente, o vede, ma non se ne accorge. Perché non è il cervello che vede, sente, annusa: il cervello seleziona fra le migliaia e migliaia di segnali che raggiungono gli organi sensoriali, quali far emergere a livello conscio. Altrimenti, gli esseri umani andrebbero in corto circuito. Così, di un flusso di impressioni sensoriali, solo poche si fanno coscienti e coerenti, e vengono scelte a causa della loro maggiore affettività. Gli interessi del singolo sono gli agenti della selezione, e sono in larga misura socialmente determinati. Ovvero: si creano nel corso della vita attraverso l’educazione, l’esperienza personale, la civiltà in cui una persona è immersa.

La percezione non è solo rivolta verso l’esterno: inizia con la costruzione del sé, della propria identità, della nozione di persona, dell’identificazione individuale e collettiva che avviene attraverso l’attribuzione del nome: della collettività, o di se stessi.

La percezione può anche andare contro la razionalità occidentale: trasformarsi, per esempio, in allucinazione collettiva. A Medjugorje i fedeli vedono realmente la Madonna, il sole che rotola, e via dicendo. Non è antropologicamente corretto giudicare: il ricercatore deve individuare le ragioni culturali e sociali della percezione, a quali bisogni rispondono, non classificare i pellegrini come stupidi creduloni. Anche perché proprio dove le credenze sembrano più vulnerabili alla sfida dell’intelletto, e non sono fornite di meccanismi protettivi, ci si rifiuta di riconoscere il problema: non si riesce a percepirlo. I paraocchi crescono facilmente quando un sistema esplicativo, per assurdo che possa apparire a noi, serve a soddisfare diverse necessità pratiche, fra cui la speranza in un futuro migliore, o l’eliminazione degli individui che mettono in discussione le basi dell’organizzazione sociale. Le varie cacce alle streghe, o le guerre sante, che si sono alternate nel corso dei secoli, testimoniano che le paure e i sospetti socialmente condivisi sono tutt’altro che spariti dai comportamenti comuni. E che alcuni fenomeni particolarmente dolorosi, i desaparecidos in sud America, come pure gli anni di piombo in Europa, vengono rimossi dalla memoria di un popolo che, in questo modo, trova la maniera per andare avanti senza soffrire troppo e senza farsi domande spiacevoli.

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Giornata mondiale dei Desaparecidos

La capacità di intuito dell’antropologo consiste nell’esaminare le credenze e le affermazioni dal punto di vista degli attori di una data situazione culturale. Il ricercatore deve svelare i campi di massimo interesse sociale, e quelli in cui la curiosità si affievolisce, fino a svanire nel limbo della non esistenza, della non percezione.

 

La vicinanza tollerata

Anche la sensazione di vicinanza non è data dalla distanza centimetrica: è una percezione socialmente costruita, diversa da popolo a popolo, e, all’interno della stessa etnia, da classe a classe. È stato lo statunitense Edward T. Hall ad iniziare questo tipo di studio nel 1966, con un testo fondamentale nell’antropologia della percezione, intitolato “La dimensione nascosta”, in cui si occupa del comportamento umano rispetto all’occupazione del suo spazio abituale.

Gli uomini dispongono di recettori biologici che permettono loro di percepire ciò che li circonda; sono i cinque sensi: la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto, il gusto. Ma non tutto ciò che raggiunge i recettori viene effettivamente percepito: alcuni odori o rumori, per esempio, sono abituali, quindi non vengono individuati isolatamente, perché considerati non significativi. È la cultura che differenzia ciò che viene reputato importante, degno di nota, e ciò che rimane nel sottofondo, nascosto, e si perde nelle migliaia di segnali che comunque arrivano ai recettori. Lo stesso discorso vale per ciò che si può accettare nelle immediate vicinanze del sé, e che cosa invece si desidera spingere il più lontano possibile. È sempre la civiltà che definisce qual è la distanza tollerata fra gli altri uomini, e il soggetto, in quali circostanze (intimità, rapporto personale, incontro fra sconosciuti, luoghi sottoposti alla frequentazione di masse anonime come le stazioni, e via dicendo), perché, quando inizia il senso di disagio e che tipo di forma assume: il malessere può avanzare in maniera incontrollata fino a scoppiare, e contenere risvolti violenti. Sembra che l’Occidente tolleri meno la vicinanza fisica delle persone rispetto ad altre culture come, per esempio, quella medio orientale, o quella africana, in cui è normale toccarsi, soprattutto quando si percepiscono gli odori degli altri, che non sono tollerati.

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La tradizione Maori per salutarsi, nota come "Hongi", è simile a quella dell'Oman

La nozione di persona

Lo studio antropologico della percezione può cominciare da ciò che la nostra civiltà considera il fondamento stesso della concezione del sé: la nozione di persona. Naturalmente, in ogni società si assegna un’identità all’essere umano: ma la definizione dell’individualità, così come la determinazione dei diritti e dei doveri del singolo, possono divergere profondamente dal pensiero occidentale. Sotto l’influenza prima cristiana, poi umanista e illuminista, infine liberale, l’idea di persona distinta da tutte le altre, compreso il suo gruppo di riferimento, cerchio parentale o tribù, clan, famiglia, coniuge, giuridicamente, filosoficamente, religiosamente, è diventata qualche cosa di sacro, un valore assoluto, una finalità da rispettare in sé. Tutto ciò è strettamente legato alla responsabilità personale, sancita dalla legge, e all’aspirazione di poter essere artefici del proprio destino: il “sogno americano”, principale caratteristica di un sistema economico capitalista. Il caso e la fortuna, considerati i principali fattori di buona o cattiva sorte nell’antichità e in molte culture tradizionali, sono stati declassati al rango di superstizioni popolari e, talvolta, anche condannati e negati, considerati come scuse per non aver avuto successo.

Ricordiamo però che, nel corso della storia - e ancora oggi - la percezione del sé come persona è riservata, di fatto, a pochi privilegiati: chi può decidere del proprio destino, sfruttando nel migliore dei modi possibili le opportunità che la società gli offre, appartiene ai ceti alti ed è, normalmente, maschio.

Per costringere le donne ad annullare il senso di sé, a percepire se stesse come inutili senza un uomo, per costringerle ad un'esistenza di muto servaggio e al dovere del lavoro di cura, per forzarle a portare su di sé l'onore della famiglia, e quindi a reprimere i propri istinti sessuali, chiesa e potere ci hanno impiegato vari secoli. Centinaia di anni in cui, attraverso l'educazione, la repressione e - quando necessario - la tortura e il massacro, alle donne è stato modificato il senso del sé e la percezione di se stesse, del proprio corpo, della propria sensibilità.

repressione sessuale

La sessualità tra meccanismi di potere e controllo nel pensiero di Michel Foucault

 

La lunga guerra contro le donne

“La ragione naturale è che la donna è più carnale dell’uomo, come risulta da molte sporcizie carnali”.

“Davvero, se non esistessero le iniquità delle donne, anche a prescindere dalla stregoneria, a quest’ora il mondo rimarrebbe privo dei suoi innumerevoli pericoli”.

Parola di Heinrich Institor e Jakob Sprenger, nel Malleus Maleficarum, manuale per la caccia alle streghe. Le streghe attentano continuamente alla virilità del maschio, rendendolo impotente e privandolo persino dei suoi organi sessuali, ma sorelle madri figlie e mogli comuni non fanno da meno: i due domenicani si scagliano contro ogni essere di sesso femminile, descrivendone crimini e miserie e promuovendo un’inferiorità di fatto. La donna fino al Rinascimento viene considerata un’insaziabile erotomane in tutti i suoi gesti e in tutti i suoi pensieri, che, per soddisfare la sua incontenibile libidine, è disposta a giacere con diavoli orribili e a generare con loro esseri mostruosi. Le donne sono potenzialmente pericolose in quanto femmine, portatrici di un’identità sessuale precisa, che travalica il genere: mentre una donna può anche assumere ruoli tradizionalmente maschili, come l’esercizio del potere o la funzione sacerdotale, cose che le signore hanno svolto per millenni, un maschio non potrà mai partorire, malgrado i riti di sostituzione. Comincia la paura maschile verso le proprie compagne, nutrita dall’invidia di procreare (altro che invidia del pene di freudiana memoria!!!) e cementata dall’incomprensione verso la diversità. Il timore genera disagio e il disagio violenza: tramite questo meccanismo il divario si approfondisce sempre di più, fino ad arrivare all’incomunicabilità e a giustificare l’oppressione sul più debole.

A questo punto nasce la necessità di creare, oltre ad un uomo nuovo che basava la propria identità sull’etica del lavoro forzato, una donna nuova che fondasse la percezione del sé sulla vergogna e sul senso di inferiorità, in modo che potesse accettare senza riserve la sua condizione subordinata, e servire il suo uomo in modo che lui potesse servire meglio il padrone. Bisognava costruire sentimenti che fino a quel momento nessuno, nei ceti popolari, aveva mai provato; farli accettare e farli riconoscere come valori imprescindibili. Questo tipo di percezione non era solo rivolta verso l’esterno: iniziava con la costruzione del sé, della propria individualità, della nozione di persona, dell’identificazione individuale e collettiva. Per le donne segnò il tempo della sconfitta, l’accettazione del dominio maschile, il sobbarcarsi – da sola – di un enorme carico di lavoro, dentro e fuori casa, della responsabilità della riuscita della vita famigliare, di cui doveva portare la fatica ma non poteva rivendicare i meriti, in quanto qualunque funzione pubblica le viene preclusa, e le sue capacità di relazione vengono bruscamente ridotte dalla chiusura forzata fra le pareti casalinghe.

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Nonnen op het strand in Italie. (Suore in spiaggia in Italia), Wikimedia

Comincia la negazione del diritto al piacere che durerà per secoli, la vergogna obbligata, i sensi di colpa, il peccato, la sensazione di non essere mai all’altezza della situazione, il dover lasciar perdere, chiudere un occhio di fronte alle mancanze di padri mariti e figli, la doppia morale che nega alle donne ciò che concede (e vanta) per gli uomini, il terrore del sesso, l’incapacità di assumere ruoli di potere, la paura della maldicenza e del giudizio della gente, il timore di imporre le proprie esigenze…

 

La modifica della percezione

L’arginamento degli impulsi sessuali cosiddetti “parziali”, il tatto e l’olfatto, che offrono il piacere non sublimato in sé (ma anche il disgusto represso), appartengono allo strato fondamentale della repressione che viene costruito dal tardo Medio Evo in poi. L’olfatto e il tatto mettono immediatamente in rapporto (e separano) gli individui, senza mediare attraverso coscienza, moralità, estetica. Il piacere derivato dai sensi di prossimità agisce sulle zone erogene del corpo - e lo fa soltanto per ragioni di piacere. Questa immediatezza è incompatibile con le esigenze del dominio organizzato, con una società che tende ad isolare le persone, a creare distanze fra la gente, a impedire i rapporti spontanei e le espressioni quasi “naturali”, animali, di questi rapporti. Il loro sviluppo erotizzerebbe l’organismo al punto da ostacolare quella desessualizzazione del corpo, che è necessaria per il suo utilizzo sociale come strumento di lavoro . Il “progresso” verso il sesso quasi esclusivamente genitale che si è sviluppato a partire dal XVI secolo è stato organizzato in modo da desessualizzare quasi completamente gli impulsi parziali e le loro “zone” per conformarli alle esigenze di una specifica organizzazione sociale dell’esistenza umana. Togliendo, letteralmente, o inibendo o reprimendo, lo stimolo, attraverso una serie di misure protettive: dall’eliminazione del nudo all’imposizione di una separazione rigida fra uomini e donne, giovani e anziani, esseri umani ed animali, ricchi e poveri, puliti e sporchi, civili e incivili, bianchi e neri... e chi più ne ha più ne metta.

Di contro agli alberi della cuccagna e i lunghi carnevali, il nuovo ceto mercantile prima, capitalistico poi, che diventerà dominante espandendosi e ramificandosi come una piovra dalle città, cercherà di imporre una lunga Quaresima. Prediche, sermoni, catechismi, meditazioni, messe obbligatorie, visite pastorali, dove ci si ritrova per sentirsi raccontare la storia della propria morte, la certezza dell’inflessibile punizione nell’aldilà, la vita terrena come valle di lacrime minacciata dal peccato, da passarsi soffrendo senza protestare, lavorando con disciplina, per conquistare il Paradiso: questa la visione del mondo che clero e stato tentavano di imporre, anche nelle più remote valli alpine. Dal ‘500 in poi, quasi tutti i paesi alpini dispongono di parroco, con emissari anche nelle frazioni più sperdute. Le visite pastorali sono spesso condotte da vescovi, come Federigo Borromeo, che non solo sono persone colte ed istruite, ma che non avevano paura delle reazioni della popolazione, né durante la visita né dopo (arrivavano ben protetti e poi tornavano nel capoluogo), e che coglievano l’occasione della predica per incoraggiare la delazione fra vicini, scatenare la repressione e dare la caccia alle presunte streghe.

caccia streghe

La caccia alle streghe in Europa

I fuochi cominciarono ad illuminare le notti delle comunità alpine: ma non sono più quelli, gioiosi, delle sere di maggio: sono quelli dei roghi delle streghe.
Con quelle fiamme si modifica la percezione del sé di infinite generazioni di donne: che si sentiranno per secoli inferiori, deboli, nate per servire, sessualmente passive.

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