Il mare

Spazio marino

William Turner

di Luca Calabrò

J.M.W Turner scaled

[foto 1] Tempesta di neve e Battello a vapore al largo di Harbour Mount» 1842 di W. Turner

Se il sentimento spaziale, veicolato dalla montagna, è l’altezza, quello suggerito dal mare è la vastità.

Gli orizzonti marini toccano il cielo e vi si perdono, come il cielo si perde nell’oltre del mare.
Il mare non è solo acqua ma aria.

«Dialogo del vento e del mare» è il pannello sinfonico che chiude La Mer di C. Debussy. E i quadri di Turner - pittore marino anche quando non dipinge il mare - suggeriscono un mischiarsi atmosferico di elementi primordiali dove l’acqua è aria e viceversa.
È quella del mare per definizione una spazialità aperta, senza una misura che scandisca con precisione il dove dei luoghi.

L’arte, la filosofia e tutto il pensiero umano devo moltissimo al mare. Vorrei allora prendere confidenza con questo sentimento dello spazio che è il mare proprio con l’arte. Le 'Marine' rappresentano tutto un filone di pittura che attraversa la storia dell’arte - pensiamo a Salvator Rosa, a Claude Lorrain o allo scorcio di mare nell’Aurora di Guido Reni - ma è sicuramente con il Romanticismo e poi con la cosiddetta pittura 'en plein air' che il mare come spazio aperto di colori e luce diventa momento autonomo di sperimentazione pittorica.

È interessante prendere in considerazione «Tempesta di neve e Battello a vapore al largo di Harbour Mount» 1842 di W. Turner [foto 1]. Il quadro suggerisce perfettamente una delle caratteristiche fondamentali della spazialità marina, l’indefinitezza. È tutta una indefinitezza delle forme, dei contorni degli oggetti, dei confini tra oggetti e sfondo. Il tratto, il disegno, si dissolvono nelle macchie elementari dei colori.

Gloria di San Somenico 1727

[foto 2] Gloria di San Domenico, Giovanni Battista Piazzetta, 1727

Nel mio articolo precedente sulla montagna si parlava del tragitto della pittura veneziana verso un progressivo dissolvimento del disegno - definitore dei corpi e dei piani prospettici - in una materia pittorica di densità variabile di luce/colore. La pittura atmosferica di Venezia, città marina per eccellenza, anticipa straordinariamente la tecnica di Turner e dell’Impressionismo. È interessante in questo luogo un confronto diretto fra «La Gloria di San Domenico» del Piazzetta e il quadro di Turner «Light…» [foto 2 e 3].

 

 

 

 

 

 

alberi verdi foresta 1920

[foto 3] William Turner, il pittore della luce

I procedimenti pittorici di Turner annullano le linee prospettiche che facilmente individuiamo, per esempio, in un quadro rinascimentale. Il dissolversi della geometria spaziale rinascimentale in uno spazio che ha come limite l’amorfo tende come impressione finale dello sguardo alla perdita del senso della misura. Se infatti nella pittura dal Quattrocento in poi la proporzione è l’atto mentale principale che coordina gli oggetti e lo spazio, secondo un occhio quantificante di misure e rapporti, in Turner è tutto l’opposto. Per inciso l’arte mediterranea classica e il Rinascimento, come suo ultimo erede è arte della misura. Dal modulo vitruviano alla prospettiva brunelleschiana la proporzione scandisce lo spazio secondo un 'quantum' o modulo definendo un mondo concluso, limitato e misurabile.

Anche il giardino all’italiana, per esempio, è 'hortus conclusus', chiuso e regolare con disegni geometrici, là dove il giardino alla francese, al contrario, è apertura di grandi spazi, di ampi specchi d’acqua che riflettono il cielo e di prospettive che in tutte le direzioni si perdono verso l’orizzonte. Sono diverse prospettive del sentimento spaziale che trovo utilissime per parlare del mare come senso della vastità indefinita. La dicotomia tra lo spazio architettonico concluso e lo spazio aperto di Turner è quindi nettissima. Anche sentimento, forse, che contrappone il Mediterraneo, il 'mare nostrum' chiuso in scambi fitti di civilizzazione, all’oceano e ai mari settentrionali, senza confini percorsi da tempeste e ghiacci (il giardino mediterraneo contrapposto alla Francia oceanica dei giardini francesi).

La linea che si vuole retta, nella prospettiva euclidea, si scioglie in vibrazione cromatica: la nave, la tempesta del quadro di Turner hanno gli stessi colori e la stessa pennellata indistinta, come gli elementi che secondo le leggende del Nord si confondono uno nell’altro in un insieme di nubi acquamarina e pioggia celeste. Qui, secondo me, si pone quasi un problema percettivo e sinestetico: la linea di contorno che definisce gli oggetti di un quadro staccandoli dallo spazio circostante dà una sensazione di presa visiva - aptica si direbbe, cioè di intuizione tattile – sull’oggetto, diversamente lo svanire dei contorni e del disegno in macchie che annullano gli oggetti trasformandolo uno nell’altro inerisce a una vibrazione cromatica che ha più a che fare con la sfera acustica. Spazio visivo e spazio sonoro sono non sovrapponibili. Il campo visivo, infatti, è chiuso e limitato, frontale, più definito al centro e sfumato ai lati, finisce lateralmente; di contro il campo sonoro ci circonda ovunque è continuo davanti, dietro, di lato, sopra e sotto, è illimitato.

Il quadro rinascimentale - pensiamo all’Angelico o a Piero della Francesca – è definito e finito nello sguardo frontale e chiuso. Invece il quadro di Turner come vibrazione di colori e densità cromatiche sente i confini della tela come arbitrari, potrebbe continuare a vibrare oltre, così come il mare senza limiti definiti si amplia in tutte le direzioni: trovarsi in mezzo al mare senza terre in vista. Questo mi fa pensare, per esempio, alla «Ossessione» di Debussy per il mare e non solo ne «La Mere», ma in tutta la sua opera, anche quando nom c’è esplicito riferimento al mare. Qui si contrappone la tecnica compositiva dell’Impressionismo musicale alla tecnica del contrappunto 'lineare', per esempio del Barocco. Ecco perché lo sguardo di chi si trova in mezzo al mare si perde, è senza punti di riferimento: la vista che sugli oggetti definiti è prensile sul mare si perde in uno spazio misto di vista e udito.

Il quadro marino di Turner così suggerisce molteplici sensazioni non solo visive. Ma il sentimento dello spazio trascolora spesso nel sentimento del tempo. Il tempo stesso del mare aperto è diverso, sicuramente, dal tempo quotidiano. È ritmo dello spazio aperto, statico nell’insieme, ma articolato nel molteplice 'sorriso delle onde' è staticità del non - tempo spaziale. Si esprime qualcosa di un tempo primordiale: Okeanos è una delle divinità ancestrali di Esiodo.

Per concludere propongo due ascolti 'marini':

  • «Un barque sur l’ocean», terzo dei Miroire di Ravel;
  • «Sofferte onde serene» del «Veneziano Nono».

 

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