Il paesaggio

I luoghi della paura

Il mastino dei Baskerville di Conan Doyle

di Luca Conca

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Da sempre il paesaggio ha avuto una grande influenza sulla nascita di certe leggende e superstizioni e sul permanere di queste nei secoli a venire.

Gli elementi più inquietanti e misteriosi che caratterizzano un ambiente naturale, tanto da diventare degli stereotipi  e dei luoghi comuni, sono il terreno fertile sul quale piccole credenze, storielle popolari, filastrocche di paese crescono e danno origine a miti veri e propri, tanto vivi e radicati nel nostro subconscio da generare paure e fantasie mostruose.
Queste associazioni mentali sono forti quanto possono esserlo le suggestioni che provocano, astratte dal conoscibile e dall’esperienza diretta.

Foreste impenetrabili, paludi silenziose, laghi scuri e lande desolate diventano luoghi simbolici, mitici nel loro appartenere più alla leggenda che al reale; nomi e aggettivi in simbiosi, indissolubilmente legati  gli uni agli altri, che nell’immaginario collettivo non possono esistere se non insieme. Senza i corrispondenti aggettivi, nella narrativa di genere questi luoghi ci apparirebbero, per paradosso, anonimi e troppo comuni.
Da qui si arriva certo a un giudizio intuitivo: l’introduzione di questi elementi 'mitici' in uno scenario rassicurante e riconoscibile ne disturba però anche l’immagine e la percezione che ne possiamo avere, ne cambia il senso e l’intento narrativo.

Mastino BaskervilleLa paura del protagonista (e quindi del lettore) è il motore dell’intreccio, il percorso segnato della trama. E questo vale ancor di più per il romanzo di genere come Il mastino dei baskerville, che rappresenta un perfetto esempio di evoluzione del romanzo gotico inglese in cui le ambientazioni fantastiche (antichi castelli, rovine medievali, monasteri) lasciano il posto a paure ancestrali, maledizioni, persecuzioni, forze malefiche della natura.

Arthur Conan Doyle scrive il romanzo nel 1902, terzo romanzo del suo celeberrimo detective, in cui è costretto a farlo 'resuscitare', sotto le pressanti richieste di un pubblico di lettori ormai dipendente, dopo il racconto L’ultima avventura in cui appunto perdeva la vita nello scontro finale con il nemico di sempre Moriarty.

Dello scrittore, medico prima di tutto, conosciamo bene l’approccio scientifico e razionale che sta alla base (tra le altre cose) dell’enorme successo di Holmes. Ma Conan Doyle ha considerato presto il suo detective come una gabbia narrativa, un clichè da cui affrancarsi per poter dare libero sfogo ad una creatività sempre più varia e trasversale. In tutta la sua produzione e non solo in quella Scherlockiana, c’è un gusto per le trame insolite, fantastiche, condite da ingredienti esotici che Conan Doyle prende dai suoi tanti viaggi per il mondo e soprattutto dalla sua esperienza come medico del governo inglese in India. La sua curiosità vivacissima mischia sapientemente tradizioni antropologiche dell’antica Asia con le radicate e amate abitudini della cultura borghese britannica, i coltelli malesi con il the nei club della City.

Ma per questa nuova avventura Conan Doyle abbandona i salotti e le ville londinesi, i suoi vicoli e le sue nebbie per introdurre qualcosa di più che un elemento esotico: il soprannaturale; e per questo cambiamento di scenario e di 'ingredienti' si trasferisce nella brughiera inglese, uno dei topos della narrativa del terrore per eccellenza.

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Arthur Conan Doyle

Arthur Conan Doyle, come ogni scrittore inglese della fine dell’Ottocento che si volesse muovere tra il genere gotico e tutte le derivazioni della letteratura fantastica e del mistero, parte dalla diffusione che nel middle english (il nome dato alla fase storica successiva all'inglese antico, parlata nel periodo compreso tra l'invasione normanna e il tardo Rinascimento inglese), ebbero racconti favolistici con protagonisti gli animali. Questa 'epica animale' si allargherà ai bestiari e alle leggende ad essi collegati, fissando definitivamente una belva al paesaggio corrispondente, al suo regno d’azione di elezione. Luoghi popolati non dalle forme di vita che conosciamo, ma da ben altre, che escono quando le prime si nascondono.

Il paesaggio che Conan Doyle sceglie per Il mastino dei Baskerville è quello in cui la campagna inglese è più desolata e nebbiosa. Basse e fitte piante cespugliformi che si estendono per chilometri  e rivestono le lande dell’entroterra e delle coste.

Qui non vi è nulla di nascosto, di inaccessibile, anzi, tutto si perde con monotonia fino all’orizzonte, tutto ci appare visibile ma allo stesso tempo ci lascia anche 'scoperti', senza rifugio o protezione. Ed ecco per lo scrittore l’ambientazione ideale per utilizzare magistralmente anche le leggi della paura: un luogo che custodisca una sensazione di isolamento e di mistero ma che si trasformi con la nebbia in una trappola mortale estesa per chilometri in cui è possibile trovare scampo.

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Devon, Inghilterra

Sir James Mortimer chiede a Sherlock Holmes e al fido John Watson di indagare sulla recente morte del suo caro amico Sir Charles Baskerville. L'uomo è stato trovato senza vita nel parco della sua proprietà, situata nel mezzo della selvaggia brughiera di Dartmoor, nel Devon.

Secondo la polizia la causa è da attribuirsi ad un infarto ma il cadavere è stato trovato con un’espressione di puro terrore dipinta sul volto e vicino al corpo sono state rinvenute quelle che sembrano essere le orme lasciate da un cane gigantesco. Presto tra gli abitanti del villaggio e Mortimer stesso si diffonde la credenza di un essere demoniaco che colpisca col favore della notte e della nebbia, rafforzata negli animi creduloni da una vecchia leggenda che vuole gli eredi maschi della famiglia Baskerville, vittime di una morte prematura e violenta.

Le morti alimentano tra i personaggi del romanzo superstizioni e terrore, ma è il luogo in cui i delitti si compiono ad avere la meglio sulla suggestione del racconto. Se al libro togliamo infatti il personaggio 'accentrante' di Sherlock Holmes e l’impianto giallistico, rimane la vera essenza dell’idea letteraria: il rapporto tra paesaggio e animale, tra la brughiera e la bestia; il mastino, un cane di una razza precisa e conosciuta, si trasfigura nella forma imprecisa di fiera, belva, mostro.

Inutile dire che la nebbia e il vento che batte nelle terre del Devon si disperderanno insieme al mistero della maledizione di Baskerville, lasciando il lettore come sempre divertito dalla bravura di Conana Doyle e dal suo desiderio, tutto vittoriano, di trovare qualcosa di inspiegabile nella prevedibile, rassicurante e vecchia Inghilterra.

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