La meraviglia

Owen Meany

L'attesa di un fato benevolo ma insopportabile

di Luca Conca

baseball

Il miracolo ci pone davanti alla duplicazione della realtà, alla duplicazione della percezione della nostra realtà: sappiamo che sta succedendo, che è vero, ma allo stesso tempo che non è possibile.

Una manifestazione che è da principio un vero e assoluto senso di meraviglia, e che porta fino alla commozione; che abbassa ogni difesa, soprattutto quelle della ragione. Ma non basta che l'evento sia solo miracoloso, una concatenazione di incredibili circostanze e coincidenze; no, deve essere proprio un miracolo, deve accadere ciò che vorremmo accadesse ma che sappiamo di non meritare. E dobbiamo vederlo accadere non come in un sogno, ma con quella lucidità con la quale si guardano le cose dopo aver pianto.
preghiera-dHo finito di leggere da poco "Preghiera per un amico" ("A prayer for Owen Meany") di John Irving, e tutto il libro è una lenta e meravigliosa preparazione al miracolo.

Siamo nel New Hampshire, Owen Meany è un ragazzino incredibilmente minuto, dalla voce fessa e stridula, una creatura eccezionale che sfugge ad ogni classificazione. Durante una partita a baseball con i suoi compagni, batte una palla che colpisce accidentalmente la madre del suo migliore amico, John Wheelwright, uccidendola all'istante.
Come in altre opere di Irving, l'evento inverosimile, accidentale è il motore del romanzo, che cambia le vite dei personaggi e le fa entrare in relazione in modi imprevedibili e fatali.
La tragedia lega ancora di più i due ragazzi. Ciò che è accaduto, nonostante l'assurda successione degli eventi, ha una sua ineluttabilità, e Owen si sentirà da quel momento in poi quasi un predestinato. Perché è nato con quel corpo in miniatura e quella voce? Si chiede Owen. E perché la sua consapevolezza nel misterioso ruolo che ha il destino, è così fervida e assoluta? Perché Owen è un miracolo, e farà un miracolo.

Veglierà sulla vita dell'amico e farà della sua uno strumento. Si concentrerà nello studio, lui che viene da una famiglia umilissima, acquisendo con gli anni che passano, sempre maggior sicurezza in se stesso, arguzia e intelligenza. Si iscriverà alle stesse scuole di John, rinunciando così a borse di studio vinte per università più prestigiose, lo aiuterà a superare esami e a rendersi indipendente. Insomma si libererà di quell'immagine quasi irreale che la sua voce e il suo corpo danno di lui, inserendosi in un contesto e in una dimensione da ragazzo, studente e amico quasi convenzionale.
Ma non sarà questo il miracolo.

La sua voce fessa e il suo corpo minuto sono sempre lì a turbarlo e a staccarlo dal fondo, dal contesto. Irving non vuole che in noi finisca la meraviglia, per Owen e per ciò che riesce a fare, e per quel destino fatale che solo lui sembra conoscere.
Qui iniziano nel libro due registri paralleli: in uno John Wheelwright, per tutto il romanzo voce narrante, è ormai un uomo, non vive più negli Stati Uniti e ricorda ciò che è successo con la serenità e la pacificata incredulità di un sopravvissuto; nell'altro il racconto prosegue e la convinzione di Owen diventa cieca ostinazione. Sa quando morirà, e perché, e la sua premonizione assume i dogmi di una fede; ci si dedica con fervore, la coltiva, solo lui sa, perché solo a lui si è rivelata. Owen ha l'accettazione di un martire ma invece di attendere serenamente, forza, accelera gli eventi perché quello che pensa succederà arrivi senza inutili lungaggini.

Irving sta parlandoci di una premonizione, ma vissuta come una meraviglia, l'apparizione di un fato benevolo anche se insopportabile. Il vero contraltare di Owen Meany non è il suo migliore amico John Wheelwright, ma un altro personaggio magnifico e memorabile, Dan Needham, il padre adottivo di John. Un insegnante con la passione per il teatro che rappresenta una figura fondamentale; la sua ragionevolezza, pacatezza e bontà riconducono il romanzo su binari sicuri, ogni qualvolta Owen e la sua febbre religiosa tentano di farlo deragliare.
Dan organizza e cura la regia di allestimenti teatrali un po' scalcinati, con attori presi tra il quotidiano della piccola provincia in cui si svolge il romanzo: il postino, l'operaio, la vecchia maestra, la zitella. In questo è evidente il parallelismo tra John Irving e Charles Dickens, autore al quale è stato associato più volte. Così come Dickens (che si definiva un buon conoscitore dell'animo umano) riempiva i suoi romanzi di moltissimi personaggi diversissimi e fortemente caratterizzati, così Irving crea, anche attraverso le messe in scena di Dan, una commedia umana, con le sue forzature ed esagerazioni. Ma è appunto un testo, un canovaccio, in cui inserire l'elemento catalizzatore ma anche deflagrante: Owen. Un elemento di surrealtà, di inverosimiglianza, di sorpresa, di meraviglia.

irving johnJohn Irving (foto: www.randomhouse.com.au)Tutto il romanzo, nonostante i toni che prevalgono siano quelli della leggerezza (a tratti anche della comicità) è attraversato da una sottile tensione: crediamo a Owen e aspettiamo insieme a lui che si compia il miracolo, che ciò che vogliamo ma che temiamo, avvenga e ci spieghi ogni cosa detta e fatta da quel piccolo ragazzetto dalla voce stridula.
Non c'è altra scelta, lo sappiamo.
La meraviglia è saperlo o vederlo succedere?
È questo che ci scuote. È l'ineluttabile, l'impossibile, che sentiamo così estraneo ma allo stesso tempo, per averlo così a lungo desiderato, così familiare. Questa è la grande contraddizione: sappiamo che non può essere vero, ma sta accadendo; è troppo per potercelo davvero meritare ma ci è stato dato.
Owen Meany, dopo la sua breve infanzia, vivrà la sua vita come un processo irreversibile verso un evento inimmaginabile.
È proprio quando ci viene messa la nostra vita lì nelle nostre mani che vediamo ogni cosa come fatidica, realizzabile, meravigliosa.

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