La storia

La Fata Scighera

Un soffio materno trasformato in magia

di Andrea Basci

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Così bello, raccontare la storia della Fata Scighera.


In alcune giornate estive, quelle con i cieli gonfi di nuvole nere, sale veloce su per la valle ammantando di bianco il paesaggio e facendo scomparire prati e alberi in una lattiginosa coltre bianca che si potrebbe rinchiudere in un barattolo da conservare sul comodino.
Sale maestosa, con ritmo incalzante.
E nasconde il suo sguardo dentro quell’impetuoso incedere bianco.
Gli occhi appiccicati alle finestre a vedere la magia, come entrare in una nuvola materica che in un attimo ti lascia sospeso ad aspettare che se ne vada.
Poi, passata, i bambini cercano nella fontana le preziose monete lasciate dalla Fata e sempre trovano piccoli tesori, mai traditi ad ogni passaggio.

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Aspettano frementi che se ne vada.
Si racconta sia un soffio materno trasformato da un prodigio in una magia che in giornate estive accarezza i figlioli e li rende felici.
Quante volte l’ho vista, uguale e sempre ammaliante, ho provato a fotografarne lo sguardo, puntare l’obbiettivo e seguirne l’incedere potente.
Ma si nasconde.
Affino ogni volta la tecnica, cambio parametri che do per scontati, ma quello sguardo è perso nel bianco.
Mentre avvolge larici e betulle, sento un velo di apprensione.
Lo vedo in quell’incedere quasi turbinoso sul fronte, quando il lungo strascico scivola in alto e scopre gli alberi nascosti come seta preziosa trascinata leggera che silenziosa lascia le forme.
La tintinnante musica delle monete rivela l’animo addolcito e felice.

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Quanto ancora mi ci vorrà per fotografare il suo soffio?
Il racconto migliore è forse una trasposizione filmica, ma mi allontano ancora di più dall’incontrare lo sguardo e capire, perché la sua inquietudine trovi ristoro nella felicità dei bambini.
Ora, quasi sempre, lascio riposare le lenti e me ne sto anch’io col naso schiacciato sul vetro ad ammirare il regale passaggio.
Sento il suo sguardo girarsi ad osservare.
Ma è nascosto nel bianco.
Si muove, rapida sulle pendenze senza che l’aria se ne accorga e l’incedere cancella il paesaggio, lo fagocita e lo diluisce nella nebbia.
Diluisce i pensieri che in quei pochi minuti dove il bianco diventa padrone del mondo, scorrono in anse poco frequentate e si perdono nella nebbia.
Poi, a disegnare paesaggi d’incanto, ti lascia addosso un leggero brivido freddo che si asciuga al sole.

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Aspetto giugno, aspetto con il naso alla finestra, aspetto di vedere ancora il corteo bianco intrecciarsi leggero tra i rami e lasciare cadere tesori nella fontana.
Aspetto che i bambini possano correre ancora a raccogliere le monete.
Aspetto, come lei, le sete che annebbiano lo sguardo e, veloci, allontanarsi a lasciare scoperte foglie ed aghi, lasciare solo il tintinnare dei tesori che cadono.
E aspetto l’attimo che merita di essere fotografato.

©Fotografie di Andrea Basci, fotografo

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