Ti voglio bene

Tre parole magiche... 

di Gina Grechi

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Spesso ho bisogno di dire «ti voglio bene» alle persone a cui voglio bene. È un'esigenza che cerco di soddisfare immediatamente, perché mi appaga moltissimo e perché, certe cose… non vanno mai rimandate!


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Il fatto che arrechi tanta soddisfazione a me, per prima, induce, forse, a pensare che, l'urgenza, celi un comportamento oltremisura egoistico. La verità è che dire un «ti voglio bene» chiaro e sentito, equivale a pronunciare una formula magica, in grado di migliorare il mondo.

È vero, ci sono tanti modi di manifestare il proprio affetto nei confronti di qualcuno, ma la potenza di un «ti voglio bene» sincero, scandito dopo un respiro pieno e profondo, non ha pari: il messaggio arriva dritto dritto al cuore del destinatario, senza lasciare dubbio alcuno.

«TI VOGLIO BENE». Sono tre parole che, già da sole, hanno un grande impatto emotivo: la prima è come un fulmine a ciel sereno che squarcia il soffitto dei pretendenti e cade sulla testa del prescelto, illuminando di attenzione il suo spazio vitale; la seconda parola è anche il 'verbo dei prepotenti'. Mia nonna diceva sempre: «Guarda che l'erba VOGLIO non cresce neanche nel giardino del re». Eppure, in questo preciso contesto, occupando una posizione di privilegio fra due morbidi cuscinetti, si trasforma nel 'verbo dei decisi', sconfigge il dubbio, nemico dei buoni sentimenti, e vaporizza profumo di sicurezza, nell'aria tutt'intorno. Infine è la volta della parola che meno necessita di spiegazioni. Un vocabolo tanto forte da nutrire di ulteriore significato le parole precedenti, chiarendo che «ciò che io voglio per te», è qualcosa di semplice e allo stesso tempo estremamente filosofico; qualcosa che, se diventasse un desiderio condiviso, eliminerebbe in un secondo, guerre e cattiverie.

 

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Un «ti voglio bene» non va sprecato, perché pentirsi di averlo pronunciato è un peccato stucchevole e imbarazzante. Un «ti voglio bene» non va risparmiato, perché avvizzisce tra le mani di chi ha perduto l'attimo e non può nemmeno essere riciclato. Un «ti voglio bene» può essere appoggiato con delicatezza sul davanzale del cuore del destinatario, oppure lanciato con vigore fra le braccia del fortunato beneficiario.

Dire «ti voglio bene» mi appaga moltissimo. Ricevere un «ti voglio bene» mi procura un'emozione sublime. Dieci minuti fa, Alessandro, mio nipote di quindici anni, al quale ho sempre dedicato meritate parole d'affetto, ha suonato alla mia porta e quando gli ho aperto, un po’ stupita per la visita inaspettata, mi ha abbracciato e mi ha detto: «Sai zia, avevo proprio bisogno di dirti che ti voglio bene!». Ho pensato che l’«educazione sentimentale» non necessiti affatto di spazi e termini sofisticati per essere trasmessa: esempi concreti, che sono parole e azioni quotidiane, solo apparentemente banali, hanno il potere di far fiorire coscienze umili e pulite in cui può tranquillamente avanzare, a piccoli passi, quella proverbiale 'bellezza', in grado di cambiare il mondo.

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