Il costo della fatica

Il mercato dello sport  

di Franco Ferramini

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Mini campetto da calcio a Miralago, Valposchiavo

Lo sport è roba per ricchi? Certamente una società in cui regna la povertà, dove si fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, non ha i soldi per dedicarsi ad un’attività sportiva.

Pensiamo però al calcio, dove su terreni sabbiosi e polverosi nei paesi poveri dell’Africa gruppi di bambini corrono dietro a palloni improvvisati, dove nelle periferie metropolitane di tutto il mondo, su campetti spelacchiati, si pratica questo sport, dove negli oratori con campi da calcio in cemento ragazzi di tutto il mondo e di tutte le estrazioni sociali si sfidano a partite interminabili; ecco, in questi posti si vive l’origine pura del gioco del calcio. Che viene poi snaturata quando questo sport diventa professione, se si pensa per esempio che in Italia anche nelle serie minori si può avere un reddito molto alto, di gran lunga superiore rispetto a quello di un normale lavoratore stipendiato. 

Lo sport comunque può costare molto, molto più di quello che si spende per praticarlo invece nel suo gesto originale. Forse quello che costa meno è correre, si può fare da soli e non serve neanche un pallone. Teoricamente è sufficiente indossare abbigliamento di scarto e un paio di scarpette che non rovinino i piedi. Tra l’altro, Abebe Bikila correva scalzo. Se il fisico lo permette, ci si può sfogare per chilometri e chilometri. Ma sono sufficienti scarpette che hanno la sola qualità di non rovinarti i piedi? Non è forse meglio acquistare calzature che con la loro particolare ammortizzazione preservano anche tutta la struttura osteo-articolare? Sì, è decisamente meglio. Ecco allora che i costi lievitano. Per non parlare di quelle che pesano qualche decina di grammi in meno e migliorano la performance, di quelle che migliorano l’appoggio. Anche l’abbigliamento del podista può migliorare il benessere, ma andiamo anche lì su di prezzo, molto su. Poi se vogliamo ci sono gli accessori: satellitari da polso, cronometri, borracce ecc. 

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Abeb Bikila, maratona olimpica di Roma, 1960

Se poi ci si appassiona e si vuole partecipare a qualche garetta è necessario iscriversi ad una società sportiva, pagare una visita per l’idoneità agonistica, pagare l’iscrizione alla gara. Tutti costi, per un’attività che in fondo esula dallo strettamente necessario per vivere. Chi scrive è un podista appassionato, che non potrebbe fare a meno delle sue corsette settimanali, ma non si può non affermare che lo sport praticato è un bisogno indotto nella nostra moderna società. Esistono poi gare di moda, per tradizione o per business. Quale maratoneta non ha mai pensato almeno una volta nella sua vita di partecipare alla Maratona di New York? Ecco, partecipare a questa maratona non è per tutte le tasche. Solo di iscrizione più di 400 euro, con pettorali assegnati solo a tour operator che vendono pacchetti con viaggio e albergo. Certo, tutti possono partecipare, la maratona è aperta a tutti quelli che credono di farcela e che sono iscritti a società sportive, ma dal gesto libero ed economico della corsa a questo vero e proprio business organizzato quanta distanza ci corre? 

Già, correre. Si può correre per sport anche sul dorso di un cavallo in carne ed ossa o di un cavallo 'd’acciaio', o si può sfrecciare chiusi in un abitacolo di una quattro ruote velocissima. L’equitazione è il classico sport per ricchi, senza voler dare un’accezione necessariamente negativa a questa definizione, trattandosi comunque di una pratica bellissima a contatto con una specie animale meravigliosa. Nobili e figli di papà ne hanno fatto nella storia dell’uomo un’attività per pochi. Un cavallo costava, i poveri si potevano spostare solo a piedi. Anche lì, prima della società motorizzata, il cavallo era l’unico mezzo di spostamento, una necessità per i soldati e per chi si doveva spostare per lavoro o affari. Poi l’andare a cavallo si fa sport, i nobili inglesi praticano la caccia alla volpe e il polo, giusto per divertirsi e svolgere sane attività all’aperto. 

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Equitazione, spesso uno sport per benestanti

Il motociclismo e l’automobilismo necessitano ovviamente del mezzo meccanico sempre a punto: paradossalmente, una buona moto o auto da corsa si dovrebbero disfare un metro dopo il traguardo, talmente precisa sarebbe necessaria che fosse la programmazione del mezzo: dare tutto e di più in gara per 'morire' all’arrivo, col mezzo meccanico si può. Così un motociclista o un automobilista per iniziare a gareggiare ha bisogno di notevoli mezzi economici, prima di diventare bravo ed essere notato e ingaggiato da qualche scuderia. Da essere uno sport 'povero' a essere uno sport 'ricco' il passo è breve, conto in banca permettendo. Stessa situazione in tutti gli sport in cui viene usato un mezzo, il ciclismo con bici e accessori che ad un appassionato possono costare molte migliaia di euro, tanto per fare un altro esempio.

Negli anni diversi sport sono passati da sport d’élite a sport di massa, con costi che si sono ridotti nel tempo, aumentando il numero di praticanti. Lo sci era un obbligo per il montanaro, che con i suoi sci di legno aveva nei periodi invernali come sua unica possibilità di spostamento sci o racchette, per evitare di affondare nei metri di neve che ricoprivano i villaggi di montagna. Nacque poi lo sci come sport, come divertimento. Anche lì, a parte chi in montagna era residente tutto l’anno, non era per tutti fare vacanze sulla neve. L’attrezzatura costava parecchio, gli sci, gli alberghi e gli impianti di risalita pure. I successi degli sciatori sportivi però nel tempo, da Zeno Colò alla «Valanga azzurra» degli anni ’70 hanno fatto crescere la voglia di cimentarsi in questo sport e, alla fin fine, si cominciò a parlare di sci come sport di massa accessibile a tutte le tasche. Nacque il mercato degli accessori e delle settimane bianche, i prezzi diminuirono e, da sport praticato per necessità o per ricchi, ecco il passaggio a sport di massa. 

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Trofeo Topolino, Folgaria 2016

Per rimanere agli sport di montagna, un’evoluzione particolare hanno avuto le 'conquiste dell’inutile' degli alpinisti. Ora arrivare sul tetto del mondo, l’Everest, è relativamente facile. Basta avere a disposizione almeno novantamila dollari per togliersi il capriccio. Ed è così che negli ultimi anni si assiste ad una corsa a quegli 8848 metri della gente più disparata, molti senza l’esperienza e la preparazione adeguata per compiere un’impresa del genere. Sostiene Alan Arnette, esperto di Everest e gestore di un servizio di consulenza per le scalate himalayane: «Il tipico uomo di mezza età che ogni tanto fa un’apparizione in palestra e può permettersi il prezzo richiesto per una scalata commerciale dell’Everest, deve considerare tutti i fattori, anche quelli che magari non sono compresi nel pacchetto che ha comprato. Se decidi di scalare con una attrezzatura e un abbigliamento tecnico non adeguato, prepara la tua famiglia a un tuo possibile non ritorno. E nel caso dovesse succedere, non incolpare nessun altro se non te stesso».
Purtroppo negli ultimi anni la cronaca evidenzia sempre più morti a causa di questa deprecabile moda di pagare (molto salato) per l’emozione di arrivare in cima al mondo. Tra l’altro, può essere che gli individui che si cimentano in imprese simili siano responsabili in pieno delle proprie precarie possibilità di sopravvivenza, sicuramente però non ne può nulla l’unica vittima incolpevole di questa assurda moda, la montagna stessa, diventata negli ultimi anni purtroppo a causa di ciò un enorme immondezzaio ad altissima quota e a cielo aperto. Che immane tristezza per la 'Dea Madre', così chiamata ed evocata nelle preghiere delle popolazioni locali, che comunque ne traggono fonte di sopravvivenza e relativo benessere. Ma con quale inevitabile negativa contropartita? Notizia di questi giorni è che il Nepal ha decretato una stretta sui permessi per scalare l’Everest: il costo del 'pass' passerà da 11.000 a 35.000 dollari e sarà necessario avere scalato almeno un seimila. Speriamo.

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Everest: traffico in vetta

Per quanto riguarda il Golf invece, bellissimo sport anche questo come tutti quelli citati, ricordo esperti in televisione che ne decantavano le indubbie doti salutistiche, dovute alle lunghe e necessarie passeggiate tra una buca e l’altra; ma anche lì si possono risparmiare energie. C’è chi può permettersi un 'caddy' per trasportare i borsoni con le mazze, spendendo fior di soldi nei campi da golf più esclusivi, l’accesso ai quali non è decisamente per tutti.

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... il desiderio di arrivare alla fine dello sforzo.

Esiste però una ricchezza nello sport che, per assurdo, può costare poco in termini economici: quella interiore, del tutto intima, nel momento in cui si sente il corpo vivo nella fatica, quegli attimi in cui tutti i cattivi pensieri se ne vanno via col sudore, indipendentemente dall’agonismo e dal risultato. Quando si rimane soli con se stessi e con il proprio gesto sportivo praticato, lasciando lontani in quegli attimi tutti i problemi della propria vita e del mondo intero. Lì, in quella dimensione, non esiste più ricchezza e povertà, sovrabbondanza o penuria, vite agiate o esistenze faticose. Lì c’è solo la sfida con se stessi, il desiderio di arrivare alla fine dello sforzo, ma c’è anche la consapevolezza che alla fine di quella fatica del tutto volontaria e, se volete, 'inutile', ci saranno ancora attimi di pace interiore, di appagamento e autostima. Per poi tornare a capofitto nella vita di tutti i giorni. Tutto ciò, non ha prezzo.

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